Caro Vittorio

“Covid 19 tra emergenza sanitaria ed emergenza economica. Riflessioni dal mondo delle scienze sociali.”

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Ho letto con molto interesse il libro dal titolo : “Covid 19 tra emergenza sanitaria ed emergenza economica. Riflessioni dal  mondo delle scienze sociali.” a cura del prof. Luca Ferrucci. Edizioni Morlacchi.  Un testo non sicuramente per un’audience di larga diffusione ed estesa   stratificazione, intellettuale e sociale, sebbene elitaria; e sicuramente essenziale per chi voglia capire le conseguenze di questa pandemia, sul comportamento degli individui, con le ripercussioni sul sistema delle loro aggregazioni, secondo le categorie sociali, le sapienze della  politica e gli interessi dell’ economia. Un  testo che avrebbe contribuito a completare gli input conoscitivi della brillante tesi di laurea di Lorella Pesaresi: “L’Economia Circolare:principi teorici e prassi a livello locale nella gestione integrata dei rifiuti a Perugia” che  di conserva ho avuto il piacere di leggere.

Gli effetti del “covid 19”, peraltro ancora in “corso d’opera”, sono stati misurati sotto diversi profili, ognuno dei quali si identifica con le peculiarità accademiche dell’esperto “convocato” da Ferrucci a dire la sua sulla pandemia. Per cui l’emergenza sanitaria ha posto problemi di limitazione del diritto individuale alla libertà, con riverberi sull’etica  di governo ed i suoi limiti impositivi e sulle contraddizioni costituzionali. Infatti se da un lato si invocano i diritti individuali, dall’altra si richiamano le responsabilità per la salute dei cittadini.  Il tutto analizzato da esperti di diritto privato, diritto pubblico, di misuratori dell’ efficacia della governance, circa i provvedimenti presi e da prendere in materia. Un dilemma che ancora oggi si dibatte fra i cosiddetti negazionisti e coloro che rivendicano l’efficacia e le legittimità del “lock down”, in primo luogo. Ed allora il dibattito si allarga a coinvolgere i vari gradi dell’amministrazione dello Stato e le sue evidenti discrasie e incoerenze di grado geografico  e di merito funzionale. Ma una cosa è certa. Se la pandemia in atto si deve  assimilare ad una guerra e per di più verso un nemico di diabolica presenza “carsica”, magari di untori “asintomatici”, con improvvise manifestazioni di focolai pandemici, che nascono e vanno tamponati di continuo, è certo che il negazionista andrebbe identificato come un sabotatore, al soldo del nemico, e il Governo dello Stato unico gestore e responsabile dello stato dell’andamento dello sforzo per combattere il nemico comune. Il libro poi elabora i dati statistici significativi della pandemia, per regione, per classe sociale , per incidenza sui settori dell’economia. Non solo. Svolge riscontri di natura sanitaria, sia strutturale “ex ante” , sia  di efficacia strumentale , attualmente in corso, delle cure e di ricerca dei farmaci e vaccini. Poi viene svolto un excursus dell’andamento dei fondamentali dell’economia, nei vari aggregati di soggetti della finanza, dell’ economia reale, e soprattutto delle prospettive dell’economia verde, ovvero quell’economia circolare che fa profitti e nel contempo previene i rischi dell’inquinamento globale. Ed in tale ottica, la tesi della giovane laureanda e quelle degli emeriti Proff. coincidono. Eppure, “giunto in fin della licenza io tocco”parafrasando  il famoso duellare di Cyrano de Bergerac; ed allora mi domando, quali siano state le cause di questa pandemia. Puntuale come un orologio svizzero rispondono i proff. F. Rizzi, G Buzzao,  come da estratto del libro che riporto nella foto in allegato. In sostanza è l’uomo, con le sue attività economiche  intensive , avulse dal rispetto dei naturali vincoli ambientali , ad aver manipolato gli equilibri della natura e fatto sortire “il mostro invisibile” delle pandemie. Ed allora il tocco finale di tutto il processo anti “covid 19” è a favore della “green economy”, con un “j’accuse” al progresso del XX secolo dell’economia lineare.

 

L’AMICO DI FB ALBERTO GIOVAGNONI DEL GRUPPO “AMICI DI CIUENLAI”

L’AMICO DI FB ALBERTO GIOVANNONI DEL GRUPPO “AMICI DI CIUENLAI” HA DIFFUSO UN PAMPHLET DE “IL MANIFESTO” CHE VADO BENEVOLMENTE  AD ANALIZZARE .

Si forniscono alcune “dritte” di economia per superare la crisi della “combinazione disposta” , direbbero i grand commis romani, nella sinergia ecoambientale-economica-pandemica  del “corona virus.” L’esordio dell’articolo è perentorio: “La pandemia si batte con l’ecologia”. Ma obietto che occorre stabilire se esista una correlazione causale fra inquinamento, deforestazione, miseria ambientale e diffusione del virus nelle economie occidentali o nelle regioni di economie, in parte medievali ed in parte affluenti  come la città di Whuan nella regione di Hubei in Cina .

Un primo indizio si può trarre dal fenomeno del primo focolaio che nasce in Cina, a causa della vicinanza di periferie di ambienti medievali ,di sporcizia e di pratiche ancestrali con animali di quantomeno dubbia commestibilità , notoriamente humus virali , con l’evoluta città di Whuan.

Giunti finalmente ad una svolta, verso il post pandemia, Il manifesto  raccomanda:

  • Riproduzione sociale batte produzione economica : La pandemia dimostra come nessuna produzione economica sia possibile senza garantire la riproduzione sociale, come il pensiero femminista da sempre ricorda.” Viene posta implicitamente e artatamente una distinzione fra  riproduzione sociale  e riproduzione naturale, quella della specie umana. Non si capisce poi che ruolo abbia avuto il femminismo, con i suoi epigoni divorzisti, ateisti, omosessualisti, abortisti, eutanasisti, genderisti  nel sostenere il ruolo essenziale della donna nella famiglia, unico nucleo di creatività sessuale generatrice.
  • Riappropriarsi della ricchezza sociale: “La pandemia ha reso evidente la trappola artificialmente costruita intorno al tema del debito pubblico, utilizzato come ricatto per poter deregolamentare i diritti sociali e del lavoro e mettere sul mercato i beni comuni e i servizi pubblici. Se la protezione delle persone implica il superamento del patto di stabilità, del fiscal compact, dei parametri imposti da Maastricht in avanti, significa che questi vincoli non solo non sono necessari, ma sono la causa principale, grazie ai drastici tagli alla spesa pubblica sanitaria, della trasformazione di un serio problema sanitario in una tragedia di massa.”                                                                                                                                               Almeno nella critica verso la UE e l’€ la posizione de il manifesto è simile a quella dei sovranisti della destra. Solo che il manifesto va oltre . E senza mezzi termini parla di : “E’ giunto il momento di riappropriarsi della ricchezza sociale espropriata dalla libertà incondizionata dei movimenti di capitale, dalla finanziarizzazione dell’economia e della società, dalla privatizzazione dei sistemi bancari e finanziari, dall’usura degli interessi sul debito.”. E’ ancora una volta la terapia di Karl Marx, adottata dal bolscevico Lenin, esasperata da Stalin e diffusa in tutto il mondo al canto dell’Internazionale Comunista, o dell’Armata Rossa. Come avviene in questi giorni, da molti commentatori alla ricerca di facili alibi , quale causa della crisi, tutte le stilettate vanno verso l’Europa ed i suoi simboli. Ancora una volta destra e sinistra convergono, come già più volte accaduto nella storia dell’Europa.
  • Beni comuni e servizi pubblici fuori dal mercato:  qui siamo al paradosso per cui le recenti esperienze di parziale screpanze iniziali nella gestione antipandemica debbano imputarsi alla dicotomia sanità pubblico/privato, quando invece debbano allocarsi nella sfera dell’improntitudine disorganica, di una catena di comando nella non sufficiente sintonia fra potere centrale e poteri regionali. Avrei voluto vedere come, in una situazione di sanità gestita con uffici periferici , da una stessa fonte di comando ministeriale, in un unico organigramma gerarchico/funzionale, come avrebbe risposto il sistema sanitario, tanto più partecipato da eccellenze statali e private.
  • Fuori dalla precarietà/reddito per tutti: Sicuramente il Manifesto, scevro da ogni considerazione sul come si sviluppa il reddito nazionale, nella combinazione organizzativa, fra capitale e lavoro, non aveva ancora letto gli ultimi risultati della misura sul “reddito di cittadinanza. “Se, da settembre 2019, i beneficiari tenuti al Patto per il lavoro che si sono presentati supera i 200mila, il 6% di successo non è un risultato saliente”. (Il sole 24 Ore)
  • Riprendiamoci il Comune: dice  Il Manifesto: Ripensare l’organizzazione della società comporta la rilocalizzazione delle attività produttive a partire dalle comunità territoriali, che dovranno essere il fulcro di una nuova economia trasformativa, ecologicamente e socialmente orientata.” Sono perfettamente d’accordo su attività locali, perfettamente circolari, ecocompatibili, smart 4.0. Figuriamoci. Ne ho fatto un progetto, e fra poco uscirà il mio decimo libro. Ma è chiaro che ogni iniziativa imprenditoriale farà capo al suo ideatore e rimarrà nella responsabilità istituzionale, patrimoniale e gestionale del suo titolare. L’economia di mercato, seppure con i controlli a prevenire  degenerazioni, soprattutto ecologica e  finanziaria, non mi pare possa avere prospettive di un suo superamento collettivista.
  • Realizzare la democrazia. In un’economia mercatistica e capitalista, ad elevato tasso di competizione, il Manifesto si raccomanda: “La questione della democrazia è più che mai centrale. Tutto quanto sopra descritto può avere la possibilità di realizzarsi solo in un contesto di reale democrazia, intesa come partecipazione consapevole del massimo numero di persone possibili alle decisioni che tutti ci riguardano.” Ebbene, qui si sfonda una porta aperta. La classe operaia mai come in questo momento è salvaguardata nella sua salute ed interessi, sia dai Sindacati che dalle Istituzioni.

Concludendo, si può dire che le preoccupazioni de “il manifesto quotidiano comunista” si conciliano  in un modello di ripresa economica “post pandemia”, in cui società dell’economia e dei diritti civili e sociali più di prima tengano conto degli equilibri della qualità della vita verso l’ambiente e le sue implicazioni di comportamento ecologico; anche a scapito di profitti in contrasto con esso.

 

 

TRAIN DE VIE

SCHEMA DI PROGETTO “TRAIN DE VIE” (Treno della vita)

 Premessa  e scenario di riferimento

 Vi sono tre focus che si pongono all’attenzione di chi ha interesse, in Umbria,  a sviluppare innovazione di impresa, prospettare nuove opportunità di mercato di prodotti  autoctoni e beneficiare di economie e risparmi energetici.

In una visione di green economy , infatti, tale da coniugare consumi dell’agribusiness con l’ offerta dell’agriturismo ed enfatizzare la qualità della vita con la  valorizzazione di risorse della logistica , le esigenze/opportunità che emergono per un qualsiasi soggetto, sensibile  alla fruizione delle valenze storico-culturali  di area geografica ed antropologica  della Alta e Media Valle del Tevere, si articolano in tre focus  funzionalmente vincolati e ideologicamente identificati con il percorso umbro del fiume Tevere, in assioma logistico con quello della FCU (Ferrovia Centrale Umbra) ad esso parallelo.

Comunque occorre partire da una premessa ecologica: la bonifica del Tevere oggi, purtroppo, fortemente inquinato. E da tale premessa si potrà cogliere la sinergia turistico-culturale e di prospettiva  socio-economica che emerge da un confronto strategico  dei due percorsi , fluviale e ferroviario, alla base del progetto che andiamo ad illustrare.

I tre focus

 

  • 1°- Focus  di sistema : rendere produttiva, sinergica e trainante la F.C.U. (Ferrovia Centrale Umbra), ovvero una  infrastruttura strategica e baricentrica  per la valorizzazione di  fenomeni emergenti nell’area della Valle del Tevere.
  • 2°- Focus di settore :sviluppare l’agricoltura ortofrutticola di prossimità ed i suoi potenziali fenomeni marketing oriented di filiera corta  nell’area dell’Alta e Media Valle del Tevere.
  • 3°- focus di area : sviluppare nella area della Valle del Tevere  il sistema dell’agriturismo intermodale ed ecologico  : ferro-gomma-bici.

1° : FOCUS DI SISTEMA

Lo scenario  di sistema comporta la riorganizzazione della rete infrastrutturale FCU come risorsa per la rimessa in valore del sistema territoriale, ad essa baricentrico,  con il suo patrimonio ambientale, storico-paesistico e culturale, nonché l’accessibilità a questo sistema da quelli contermini e viceversa.

Vanno  individuati alcuni assi di sviluppo strategici :

  • la promozione di un “distretto rurale agroambientale” multifunzionale: agricoltura e allevamento di qualità, filiere agroalimentari, agriturismo e turismo ambientale ed escursionistico, valorizzazione ambientale e paesistica;
  • la qualificazione ambientale e territoriale delle aree produttive, in funzione della riqualificazione del sistema fluviale.
  • la promozione di attività artigianali tipiche;
  • il ripopolamento rurale, la dotazione di servizi e la valorizzazione economica delle aree contermini collinari e montane;
  • la valorizzazione delle aree protette e del sistema ambientale in generale,come elemento portante della sostenibilità del territorio e risorsa delle nuove economie agrituristiche;
  • la promozione di servizi culturali, informativi e tecnici, a supporto degli assi di sviluppo sopra indicati.

Questi assi strategici su cui si può fondare l’economia futura e la qualità dell’abitare e del fruire dei servizi-risorse, possono rappresentare le scelte operative di piano nel progetto di promozione del territorio e degli indirizzi normativi.

2° FOCUS DI SETTORE: sviluppare l’agricoltura ortofrutticola di prossimità nell’area dell’Alta e Media Valle del Tevere ed i suoi potenziali fenomeni  marketing oriented di filiera corta  .

 

L’ Idea Business

 

Nasce dall’osservazione di due fenomeni e dalla sintesi dei loro epiloghi fra loro interdipendenti.

Primo fenomeno: la presente crisi economica e la crescente consapevolezza di corretti comportamenti alimentari,  si riverbera sensibilmente sulla propensione di acquisto e di consumo agroalimentare della popolazione, secondo due parametri fondamentali : il rapporto prezzo/qualità e la valenza nutrizionale – organolettica del prodotto.

Secondo fenomeno: l’offerta di prodotti orto-frutticoli delle nostre campagne trova difficoltà a proporsi sul mercato, per volumi di vendita al dettaglio significativi e per prezzi al consumo , al netto di zavorra di intermediazioni, a volte anche “di posizione”. E’ sempre molto difficile che l’agricoltore possa superare gli ostacoli logistici e la sua ritrosia a imporsi commercialmente con la “filiera corta” ed a competere con l’offerta della Grande Distribuzione, per posizionare la propria offerta sui “mercati di prossimità”.  C’è dunque una discrasia, economico-funzionale, fra offerta e domanda ,nella realizzazione di un marketing a “filiera corta” dei prodotti alimentari deperibili.

L’obiettivo del progetto “Train de vie” è quello di superare  tale discrasia, con un sistema organizzativo integrato fra offerta e domanda di prodotti alimentari deperibili e garantiti nella loro tracciabilità.

 

Il Marchio “Train de vie”

La metafora nasce dal film “Train de vie” (Il treno della vita).Uno shtetl, un piccolo villaggio ebreo nell’Europa dell’Est progressivamente invasa dai nazisti. I quali stanno ormai per sopraggiungere. Che fare? Il matto ha un’idea: raccogliere il denaro sufficiente per mettere insieme un treno, travestirsi da nazisti e da deportati e tentare così di passare le linee. L’impresa ha inizio tra consensi e dissensi (nasce persino un’agguerrita cellula comunista). Si beffano i nazisti, si disorientano i partigiani, ci si incontra (sul piano umano) e ci si scontra (su quello musicale) con gli zingari. Finché si giunge in una terra di nessuno. Ma sarà proprio così? Romeno ebreo, il regista Mihaileanu gira un film che non ha dietro le spalle la spinta della Miramax, ma che ben più di La vita è bella meriterebbe l’Oscar. Perché è girato con mano sicura, perché mescola ironia e profonda conoscenza della cultura ebraica, perché ha una musica travolgente, perché ha una prima e una seconda parte che non formano due film ma un tutt’uno.

Il progetto agroalimentare “Train de vie”

Fuor di metafora, il nostro “Train de vie” si può identificare con il treno della Centrale Umbra che, nel suo percorso da Sansepolcro a Terni  , attraversa l’Alta, la Media e parte della Bassa Valle del Tevere con un incredibile potenziale di “assorbimento” e difusione delle sue espressioni culturali e delle istanze socio-economiche.

Il suo percorso è mediano, lungo grandi distese di campi  fertili, con notevoli risorse irrigue, con vocazioni, attuali ma soprattutto potenziali verso i prodotti orticoli e frutticoli e verso specificità e tipicità locali , emergenti e/o da recuperare , magari in specialità della tradizione contadina, verso una fruizione dello “slow food” .

Le sue stazioni intermedie, da Sansepolcro in poi (vedi allegato),  soprattutto quelle dei ponti (Ponte Pattoli, Villa Pitignano, Ponte Felcino, Ponte Valleceppi, Ponte san Giovanni) tanto per citare quelle dell’hinterland perugino, ma senza tralasciare quelle dell’hinterland di Sansepolcro, Città di Castello, Umbertide, sono preziose potenziali piattaforme-scalo merci, oggi desuete, per organizzare sia l’approvvigionamento di tutti quei prodotti alimentari ortofrutticoli (funzione dell’offerta) della piana tiberina  sia per l’allestimento e la presentazione degli stessi, verso la domanda ,opportunamente esposti sul banco di vendita dello scalo merci della stazione di destino (stazione della domanda commerciale).

Tale assetto strutturale della Mediterranea Centrale Umbra consente di rimuovere un vincolo di fondo alla realizzazione della filiera corta : il vincolo della logistica, sia dal profilo dell’offerta (produzione: gamma prodotti degli agricoltori della Valle del Tevere; piattaforma-raccolta prodotti ortofrutticoli; )  sia dal profilo della domanda ( presentazione dei prodotti; gestione della vendita e del marketing; garanzia dello standard qualitativo- organolettico dei prodotti; packaging per una vendita “porzionata”). E pertanto tutte le funzioni  sopradette sarebbero programmate e gestite direttamente dai produttori agricoli.

 

Elementi di plus innovativi 

 

Il progetto rappresenta alcuni notevoli spunti di coerenza e di interpretazione con i più significativi  parametri del recente bando del MIUR sulle “Smart cities & commodities “ al quale potrebbe attingere per impostazione di valenze tecnologiche in materia di :

 

  • “TRASPORTI E MOBILITÀ TERRESTRE: promuovere, nell’ambito della mobilità marittima, urbana, su gomma e/o su rotaia, lo sviluppo di nuove tecnologie e soluzioni ICT innovative finalizzate a migliorare l’interoperabilità dei sistemi informativi logistici marittimi o tra i sistemi di infomobilità marittima, urbana, su gomma e/o su rotaia, anche in attuazione delle disposizioni della normativa comunitaria vigente in materia.”
  • “LOGISTICA LAST-MILE: promuovere nuovi modelli nel settore della logistica in chiave eco-sostenibile anche attraverso lo sviluppo di sistemi e tecnologie in grado di innalzare l’efficienza nella gestione dei circuiti di distribuzione dei beni.”

 

Secondo tali parametri, le fasi di  commercializzazione dei prodotti ortofrutticoli, attinenti la logistica, sarebbero semplificate, con notevoli economie di risparmio, dall’utilizzo dell’asse ferroviario FCU , con i suoi effetti dinamici di mobilità  nell’avvicinamento della offerta alla domanda  e con  gli spazi degli scali merci delle stazioni di partenza sia per l’approvvigionamento dei prodotti in fase di allestimento sia per la presentazione e la vendita nei mercati di ortofrutta organizzati negli scali merci  di arrivo.

 

Diagramma di flusso per la commercializzazione di prodotti deperibili

 

Nella fase originaria del progetto il marketing dell’ortofrutta sarà vissuto secondo il format tradizionale, ormai noto e consolidato dell’ortolano al mercato del giovedì, ad esempio  (Perugia -Pian di Massiano , Ponte San Giovanni, Ponte Felcino) o del sabato.

La variazione organizzativa  rispetto a tale format è la seguente:

 

  • I produttori ortofrutticoli che gravitano in modo baricentrico intorno ad una delle stazioni dell’offerta, piattaforma del ricevimento merce deperibile (ne elenchiamo alcune: Palazzaccia, Solfagnano, Resina, Ponte Pattoli, Ramazzano, Ponte Valleceppi, etc.) , non devono preoccuparsi di organizzare il banco di vendita al mercato al dettaglio, né rinunciare al valore aggiunto incorporato nella vendita al dettaglio tramite intermediario; infatti le stazioni dell’offerta sono raggiungibili con il trattore ed il rimorchio che traina la merce fino allo scalo merci e direttamente la colloca sul vagone-punto vendita mobile verso la piattaforma della domanda .
  • La piattaforma della domanda si localizza in una delle stazioni mercato di destinazione, di vasto bacino di acquirenti-consumatori, dove lo scalo merci ha un grande spazio-mercato  per l’accoglienza dei clienti ed il parcheggio delle loro auto. Possiamo pensare alla Stazione di Sant’Anna (Perugia) a quella di Ponte San Giovanni ed a quella di Fontivegge o a quella di una delle stazioni baricentriche per la domanda  dell’hinterland San Sepolcro-Città di Castello-Umbertide.
  • Il vagone punto vendita mobile a fine mercato rientra alla stazione di partenza per riportare i resi merce ed essere nuovamente riempito il giorno dopo di altre vettovaglie.

In sintesi, si tratta di organizzare un sistema di tentata vendita dove il furgone per il trasporto dei prodotti deperibili  è sostituito dal vagone ferroviario, il punto vendita è il vagone ferroviario medesimo, l’operatore della vendita è un diretto incaricato dei produttori agricoli e il mercato è la piattaforma delle stazioni, ad alto bacino di acuirenti consumatori,  attrezzate con scalo merci .

 

Caratteristiche del rapporto commerciale e delle responsabilità connesse

 

Possiamo dunque pensare ad una sorta di tentata vendita: il vagone si carica di ortofrutticoli, lungo gli scali merci delle “stazioni dell’offerta”  , pesati per tipologia e fornitore-produttore agricolo al momento del carico, e il conteggio della scheda contabile, dare/avere,  di ogni fornitore  viene aggiornato al rientro della giornata.

Il responsabile della attività di tentata vendita può essere un solo soggetto, identificato dai produttori-fornitori al loro interno o anche secondo altri criteri. Essenziale è che ogni produttore sia rendicontato di quanto consegna la mattina e quanto riceve la sera (merce consegnata – resi merce =  ricavo).

Se i produttori sono numerosi, si potranno anche organizzare più vagoni – punto di vendita, e magari ognuno con specialità diverse ed un proprio marchio. La merce viene esposta e venduta nel mercato della stazione della domanda, da identificare con un’apposita ricerca con la tecnica delle “aree gravitazionali”.

 Fasi del progetto

 

Il progetto si può articolare in un’evoluzione di trasformazione commerciale e progressiva formazione di valore aggiunto.

1a Fase: commercializzazione “tal quale” dell’ortofrutta.

2° Fase : lavorazione dell’ortofrutta per prodotti della 4° gamma (ortaggi/frutta freschi lavorati e confezionati) .

3° fase  : linee di surgelazione per prodotti tipici umbri (riconversione da rapi del lago a rapi del Tevere, ad esempio se compatibile con l’ambiente).

 Studio di fattibilità

 La presente idea progetto va verificata, di intesa con la MCU,  in uno studio di fattibilità nel quale andrà misurata la domanda attuale del mercato, nella sua composizione merceologica ed economica, e le attese verso una nuova proposta di marketing,  relativa agli acquirenti-consumatori perugini, che gravitano nell’area centro storico (stazione Santa’Anna)  e periferia (Stazione Fontivegge) e hinterland (Stazione Ponte San Giovanni). Medesima considerazione va fatta  verso il mercato dell’area Sansepolcro-Città di castello-Umbertide.

Occorre in pari grado verificare se gli aspetti della logistica (vagone punto di vendita; piattaforma dell’offerta; piattaforma della domanda) sono sufficientemente predisposti nelle strutture esistenti della MCU, alle esigenze progettuali ,  almeno nella prima fase del progetto; ed ovviamente il consenso della MCU e la sua partecipazione al progetto.

Inoltre occorre quantificare qualità e quantità dell’offerta , attuale e potenziale, dei produttori agricoli che gravitano sulle stazioni-piattaforme dell’offerta, in modo di “tararla” ai perimetri e dimensioni della domanda.

Ovviamente lo stesso studio si può commisurare ad altre aree gravitazionali nei rapporti offerta (colture ortofrutta tiberina) domanda ( aggregazioni mercatistiche della domanda (Sansepolcro-Arezzo; Città di Castello-Umbertide; Terni).

Prevediamo anche l’elaborazione di un piano architettonico (sistemazione di esterni)  per l’area della domanda (Stazione di Sant’Anna e Fontivegge) e di strumenti di carico e scarico per l’area dell’offerta (Stazioni di raccolta dei prodotti).

 

Business Plan e compagine sociale della nuova impresa

 

Il bilancio quinquennale della nuova iniziativa  dovrà tener conto delle seguenti schede:

  • Stato patrimoniale relativo all’investimento ed alla sua copertura finanziaria ( incentivo a fondo perduto; capitale proprio; mutuo a tasso agevolato) .
  • Conto economico, elaborato secondo un piano di marketing, con una previsione di clienti acquisiti, loro fidelizzazione e volume di vendita per un fatturato che riesca a coprire le spese ed i costi di struttura e di gestione corrente. Il punto di pareggio viene superato dopo sei mesi di vendite.
  • Flusso di cassa che tenga conto degli interessi passivi e della redimibilità del mutuo in conto capitale entro un anno dall’inizio di attività

La compagine sociale sarà costituita  da giovani coltivatori in cerca di nuove esperienze imprenditoriali nell’agribusiness.

 

 

3°- FOCUS DI AREA : sviluppare nella suddetta area  il sistema dell’agriturismo intermodale: ferro-gomma-bici.

 

Questa fase del progetto “Train de vie” si può assumere dopo che la funzionalità dello strumento “treno”, come veicolo per la commercializzazione di prodotti deperibili, come sono appunto quelli dell’ortofrutta delle campagne tiberine, abbia  raggiunto un obiettivo di successo.

A quel punto si possono mettere in rete funzionale anche le altre risorse di area, come gli agroturismi e i centri di interesse paesistico-culturali (abazie, ville , borghi, …) sparsi per le pittoresche campagne collinari, contigue alla valle tiberina, la cui proposta commerciale può essere fruita anche con una logistica intermodale che , facendo perno sul servizio della FCU, possa innescare un fenomeno ad esempio di “car sharing” , a mo di navetta che collega stazioni della FCU con destinazioni dei più significativi terminali di agriturismi nell’ambito di  percorsi di interesse storico-culturale. Il tutto compreso in una carta di servizi che consenta l’accesso al mercato ortofrutticolo, la fruizione di un menù di particolare interesse “agrituristico” e una completa visita guidata ai beni storico paesistici della zona. Il tutto senza che il turista-acquirente-consumatore debba minimamente preoccuparsi di organizzare mezzi e finalizzare programmi per una o più giornate di acquisti, ristorazione tipica, visite culturali, attività sportivo-motorie e percorsi di salutare attività fisica. Da cui viene naturale il riferimento al marchio “Train de vie” della FCU.

 4° DIAGRAMMA DI FLUSSO  DEL PROGETTO

 

Il diagramma di flusso che segue analizza i tre focus,  per funzioni operative e ne evidenzia le  interrelazioni nello sviluppo sistemico  che legano il focus di sistema delle risorse della Valle Tiberina  (Alta e Media in particolare) con  il focus di settore e quello di area.

Riteniamo che il progetto, per avere prospettive di successo, debba partire dalla fase di  fattibilità esecutiva più semplice e concreta, nella sua realizzazione, e soprattutto nel rapporto di auditing : progetto/esecuzione/risultati del business plan che potrà essere realizzato. Perciò abbiamo già elaborato, nella fase del 2° focus di settore, l’itinerario di una start up imprenditoriale per il marketing dell’ortofrutta di prossimità , secondo uno schema innovativo di “tentata vendita per ferrovia”.

Perugia, 27 dicembre 2012

Dr. Rino Fruttini

 

 

E-mail a Vittorio Feltri

 

 

Da: Rino Fruttini [mailto:rino.fruttini@gmail.com]
Inviato: giovedì 30 maggio 2019 10:07
A: ‘direzione@liberoquotidiano.it’
Oggetto: La politica tribale dell’Italia e della Padania

 

Caro Vittorio,

l’aver  rivisto ieri su La7 il magnifico film “Lawrence d’Arabia” , ambientato nel conflitto medio-orientale della prima guerra mondiale , mi ha stimolato la seguente metafora, della quale mi piace farti partecipe.

Un caro saluto (e mi raccomando con l’Italexit: state cauti!)

Rino Fruttini

 

“La nostra politica nazionale si sviluppa per tribù, secondo gli schemi ancestrali: vedi ad esempio la Libia di oggi. Solo due fondamentali vantaggi ci distinguono : lo zoccolo duro dell’amministrazione dello Stato, che è la burocrazia della PA, e il riferimento costituzionale alla monarchia repubblicana del popolo sovrano: il Presidente della Repubblica. Oggi la tribù che gode più di altre il consenso dei suoi indigeni è quella leghista, che fa capo al “gran visir” Matteo Salvini, molto legato all’autarchia economica, con i dazi sulla circolazione delle merci, e con la marcatura del territorio ,in particolare della Padania, secondo lo schema gattofilo (vedi link ttps://www.miciogatto.it/marcatura-del-gatto-perche-gatti-marcano-territorio-farli-smettere/). Poi abbiamo la tribù cosiddetta dei “grillini” , una consorteria di “fancazzisti” che campano con le sinergie del “sussidio tribale”, combinato al PIL della Padania , ovvero i tribali padani che per comandare sul territorio nazionale si autotassano per garantire ai grillini fancazzisti il “sussidio tribale”. Queste due tribù, che governano l’intero territorio nazionale, secondo il modello dell’ “ossimoro cartesiano”, che in “una somma cambiando l’ordine dei fattori il risultato resta invariato “, sono riuscite a trovare l’elisir di lunga vita della legislatura tribale. Infatti la loro forza bruta viene apprezzata a fasi alterne, favorevoli e/o sfavorevoli ora ai i tribali leghisti, e tal’altra a quelli grillini. Ma comunque sono sempre loro a governare. E le altre tribù sono ai margini degli accampamenti dei sovranisti, in attesa della prossima guerriglia tribale. C’è la tribù dell’ “amazzone ” detta dei “meloni” per il loro acume nel perseguire la strategia della crescita esponenziale dei suoi adepti . Ed ancora quella del principe di Arcore, che raccoglie l’intellighenzia delle piccole tribù della comunicazione e dei servizi. Ed infine la tribù dei proletari delle oasi sparse per tutto il territorio. I renziani, i calendiani, i prodiani, i zingarettiani sempre fra loro in competizione , in piccole scaramucce che tuttavia non impressionano , anzi rafforzano, il gran visir , ormai saldo nel suo scranno imperiale. Ecco disegnata la metafora della politica tribale nazionale. Ed in tale scenario di folklorica composizione di costumi arabeschi e di istanze , appunto, tribali, ben venga la conferma di una governabilità grillo/leghista.”

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RINO FRUTTINI

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ANALISI SWOT LIRA/EURO

ANALISI SWOT NEL CONFRONTO LIRA/EURO (anno di elaborazione 2016)
PUNTI DI FORZA EURO/LIRA PUNTI DI DEBOLEZZA EURO/LIRA VANTAGGI: SEGNO +

SVANTAGGI: SEGNO –

PARITÀ: SEGNO =

Moneta unica e stabile in un mercato continentale. Non esiste più la svalutazione competitiva Lira/altre monete di scambio per i “tirms of trade”. L’export si regge per la qualità e produttività delle imprese.

 

 

 

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Moneta unica in un sistema economico-finanziario di omologazione dei fondamentali dell’economia (PIL, sistema fiscale, occupazione) in funzione della competizione, secondo il parametro della produttività dei processi di trasformazione economica. È stato alto il livello di cambio euro/lira di 1.936,27 con effetti inflazionistici, anche se non è facile indicarne uno più vantaggioso. Ad esempio: verso le 1.500 lire si sarebbe però determinata una fortissima rivalutazione della lira (che nella conversione teorica con il marco sarebbe scesa a 750 lire per 1 marco, dalle 990,5 del periodo immediatamente precedente il change over) rendendo carissime le nostre merci sui mercati europei e internazionali. Agli italiani, inoltre, sarebbero stati consegnati molti più euro in cambio delle lire, il che avrebbe reso a buon mercato per noi le merci tedesche, francesi, spagnole, etc. con grave danno per la nostra economia. È vero, però, che un cambio euro/lira a 1.500 avrebbe contribuito a combattere l’ inflazione interna. Se, invece, il governo avesse stabilito un cambio superiore a 1936,27 (per esempio 2500 lire) la competitività delle merci italiane all’estero sarebbe aumentata notevolmente, ma gli acquisti di merce estera, costando di più, avrebbero spinto i prezzi verso l’alto. Come si vede, quindi, discostandosi da 1.936,27, da una parte, miglioravano le ragioni di scambio , ma peggiorava la competitività, dall’altra, peggioravano le ragioni di scambio, ma migliorava la competitività.  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Bassa inflazione a regime. 1) La presenza di due “shock asimmetrici” su larga scala e giganteschi: la riunificazione delle Germanie (l’Ovest produttivo e l’Est improduttivo) e il collasso dell’URSS, con il crollo delle esportazioni e importazioni. Nell’ultimo caso, ne soffrì duramente la Finlandia. Ma la Finlandia ne avrebbe sofferto molto più duramente “se non avesse potuto svalutare la sua moneta”, ossia se avesse avuto sul collo il rigido peso dell’euro.

2) L’alta mobilità dei fattori di produzione. Quando lo “shock“ colpisce un Paese europeo più di altri (“asimmetricamente”), nell’impossibilità di compensare la crisi con i tassi di cambio (svalutazione della propria divisa), a dover diventare flessibili sono “il lavoro” (che dovrebbe emigrare nelle zone più produttive), il capitale e i prodotti. Le barriere linguistiche hanno impedito questa “soluzione”.

3) L’unione politica. Essendo la moneta un’espressione della sovranità nazionale, il successo dell’euro,diceva Mundell, dipenderà in ultima analisi dalla capacità dell’Europa di diventare una vera unità politica. In quegli stessi anni, Padoa-Schioppa diceva di peggio: proprio il susseguirsi di “shock asimmetrici” (che lui auspicava come effetto della moneta unica) avrebbero obbligato gli Stati membri a cedere l’intera sovranità residua all’eurocrazia, per salvarsi dal disastro (desiderato dal Padoa-Schioppa come forza unificatrice).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Basso costo del denaro

 

Per esempio la divaricazione d’inflazione e crescita tra paesi “forti” e “deboli” non sono diventate così grandi come ci si aspettava sotto un tasso d’interesse eguale per tutti.

Tuttavia questo divario si sta ampliando, e la natura del divario stesso è stata modificata dall’euro, a causa del tasso d’interesse unico, che è “troppo basso” per alcuni paesi (dove denaro a basso costo surriscalda l’economia) e troppo alto per altri, dove il costo del denaro eccessivo raffredda l’economia.

 

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L’Euro :

a)                  ha contribuito ad eliminare la marginalizzazione dell’Italia dalle grandi correnti degli scambi finanziari e di investimento internazionali.

La “taglia unica” e obbligatoria imposta dall’euro si traduce, per l’Italia, in un tasso reale rovinosamente aumentato (il costo del denaro da noi si è apprezzato del 20 %), il che spiega le nostre recessioni senza uscita.

 

 

 

 

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b)                 ha consentito all’Italia di pagare meno per le materie prime e i prodotti energetici acquistati all’estero (si pensi agli effetti sull’economia italiana del petrolio a 60 dollari il barile se non ci fosse l’euro). Dall’entrata dell’euro, la Germania ha visto crescere le sue esportazioni del 55%, l’intera UE del 35 % e l’Italia solo dell’8 %.  

 

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c)                  senza dogane, IVA da pagare direttamente al paese d’origine degli acquisti, sistema bancario europeo che tramite IBAN consente di effettuare un bonifico all’estero in tempo reale con costi identici a quelli effettuati in Italia.

 

Germania e Italia dovrebbero ridurre parecchio l’imposizione fiscale, per dare fiato ai consumi interni; invece, poiché la crescita bassa ha accresciuto il deficit pubblico, Italia e Germania sono premute più di altri paesi – dalla Banca Centrale europea – alla “austerità fiscale”.
Ossia, l’UE ci obbliga a prendere le misure contrarie a quelle necessarie, e proprio quelle che rendono cronico il nostro declino.

 

 

 

 

 

 

 

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Per il piccolo imprenditore dinamico, che può basare il suo business sull’export, anche tramite internet, è come se di colpo il suo bacino di clienti si fosse allargato all’intera comunità europea aderente all’euro! Non è poco, purtroppo in molti casi la nostra economia langue perché i nostri imprenditori sono ciechi di fronte ad un cambiamento globale che nell’ultimo decennio ha stravolto il commercio mondiale e che meriterebbe un’analisi approfondita della situazione e degli scenari a venire. E la severità fiscale che ci impone l’eurocrazia non ci serve nemmeno ad avvicinarci ai criteri di Maastricht: quando un’economia è debole ed esangue come la nostra, è inevitabile che il debito pubblico cresca.

 

L’Italia è, secondo la HSBC, (HSBC Holdings plc è uno dei più grandi gruppi bancari del mondo) il grande perdente: anche perché le sue produzioni (tessili, manufatturiere) sono le più esposte alla competizione cinese.

 

 

 

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Due anni fa la mia e mail a Vittoro Feltri sul referendum dell’autonomia regionale. Vedi pag. 293 del mio libro “Caro Vittorio ti scrivo…”

E che “Dio ce la mandi buona”. E non è un’espressione scolastica (te la ricordi, Vittorio!) sulla supplente a sostituire la titolare della cattedra d’italiano, piuttosto acida e bruttina del liceo

 

Da: rino.fruttini@gmail.com

A: direzione@liberoquotidiano.it

Inviata: lunedì 2 ottobre 2017, 13:49

Oggetto: E che “Dio ce la mandi buona”. E non è un’espressione scolastica (te la ricordi, Vittorio!) sulla supplente a sostituire la titolare della cattedra d’italiano, piuttosto acida e bruttina del liceo.

 

Caro Vittorio,

il fenomeno della rivendicazione di autonomia di popolazioni che, avendo riscoperto una loro distinta identità geografica, politica, culturale se non anche di etnia tribale, intendono farne strumento di consolidamento ideologico, nel perseguimento dell’autogoverno, separato da quello centrale, al quale finora avevano fatto capo, si sta propagando in diverse parti del mondo. La Cecenia dalla Russia, la California dagli USA, il Kurdistan dall’Iraq, la Catalogna dalla Spagna, ed infine non poteva mancare, per il fenomeno del “me too”, Lombardia e Veneto che non vogliono dipendere da Roma.

Il fenomeno del “me too” è una delle tecniche della ricerca di marketing per catalogare due categorie di acquirenti di nuovi prodotti: i “creativi” ed i “passivi”, caratterizzati anche da diversi interessi e attività quotidiane, ma visti unicamente in quanto strettamente legati al fenomeno di consumo considerato. La Lega di Salvini, ora sovranista, ma fino all’altro ieri secessionista/autonomista, da poco ha scoperto, con la tecnica passiva del “me too” che anche in Italia è “cosa buona e giusta” organizzare il referendum per l’autonomia da “Roma ladrona”. Certo, i fenomeni con le loro problematiche, sono ben diversi fra loro. La Cecenia, ad esempio, aveva ragioni non indifferenti per sganciarsi da una Russia oppressiva e prepotente. Il Kurdistan in questi giorni intende non farsi depredare dall’Iraq delle sue risorse petrolifere. Ma California in USA, Catalogna in Spagna e Lombardo-Veneto in Italia ed in Europa, come possono le loro popolazioni e i loro governanti volere più autonomia rispetto al governo centrale, più di quanto non ne abbiano tuttora.

E qui intendo aprire una parentesi di logica evoluzione della storia contemporanea, per quanto riguarda noi italiani. Ci sono volute tre guerre di indipendenza per portare le due terre redente nel recinto dello stato sabaudo piemontese, prima, e repubblicano nazionale italiano, poi. Passi per la Lombardia, che già allora era una regione economicamente autonoma e ad un buon livello di reddito pro-capite. Ma il Veneto, colonia asburgica, era un aggregato di poveri disgraziati, con le pezze al culo, decimati da ricorrenti morie di pellagra che grazie alla protervia volontà dei suoi giovani se la cavò fino al ventennio fascista con l’emigrazione nelle lontane Americhe. Poi con Mussolini al governo, dal 1925 decine di migliaia di veneti partirono, imbarcati sui piroscafi per sfruttare le risorse agricole dell’Africa Orientale (il petrolio ancora non era lo strumento di industrializzazione che ben conosciamo) ; i più fortunati invece emigrarono nel Meridione a concludere la bonifica dell’Agro Pontino o del’Agro Metapontino, o quella del grossetano, tanto per citarne alcune. Nel dopoguerra il Veneto cambiò pelle, connotati e stile di vita. Oggi guida la classifica europea del benessere, dell’efficienza delle proprie imprese, dell’efficacia dei servizi pubblici, della produttività dell’intero sistema. Una regione modello, dunque. Ma i veneti, ed a maggior ragione i lombardi, che non sono da meno per il Guinnes di simili primati, ora vogliono soprattutto una cosa; l’intervista del Governatore Zaia alla trasmissione della Annunziata, “1/2 ora in più” ce lo ha confermato poche ore fa: autonomia amministrativo finanziaria come quella della regione a statuto speciale Trentino-Alto Adige. Il che significa non versare un euro all’erario statale, ma trattenere tutto il gettito nella tesoreria regionale di Venezia e Milano. Evidentemente Zaia ed i suoi sodali non conoscono la storia dell’Alto Adige, un lembo di terra in cui la maggioranza etnica era di lingua tedesca e non aveva alcuna voglia di essere tolta alla madre patria austriaca, sconfitta dall’Italia nella prima guerra mondiale. Vale la pena leggere, dell’altoatesina Lilli Gruber, il libro Eredità in cui emerge tutto l’attaccamento dei suoi genitori e nonni verso le tradizioni austro-ungariche e la disciplina degli junker teutonici.

L’unica vera motivazione a fronte del referendum è dunque di ordine economico. I lombardo-veneti affermano che il differenziale di imposte e tasse che va a Roma e che non ritorna a Milano e Venezia, attraverso i trasferimenti a Regione, Province e Comuni, ammonta a 70 miliardi di euro. Ebbene, questo malloppo che viene sottratto al valore aggiunto del loro PIL deve essere governato da loro. Veneti e lombardi decidono, in base ad un loro criterio di solidarietà patriottico-sovranista, se, come e quando trasferirlo, con progetti da loro elaborati gestiti e controllati nelle regioni che meno di loro godono dello sviluppo delle proprio lavoro e stante la scarsità degli altri fattori della produzione.

Se viene accettato questo sperequato criterio di distribuzione del reddito, viene meno il principio di nazionalità e cittadinanza, ovvero di Stato rappresentativo del popolo italiano. Ed ancor più si compromette il processo di unificazione politica dello Stato Europeo. Ma in fondo questo è il vero obiettivo di tutta questa manfrina di scombussolamento di quelle poche certezza che ancora l’opinione pubblica può far valere verso l’Europa, politicamente unificata o statalmente federata.

In realtà fin da ora i lombardo-veneti sono chiamati alla gestione del gettito tributario nazionale, anche di quello generato dal loro processo economico industriale, partecipando alla rappresentazione elettorale, attiva e passiva, degli organi nazionali, Parlamento e Governo in primo luogo. Ed allora tutto questo inutile ambaradan di mobilitazione non avrebbe alcun significato se non facesse correre il rischio, o la opportunità, secondo il punto di vista leghista di Matteo Salvini, di una secessione.

E qui caro Vittorio, e mi devi scusare se solo ora ti coinvolgo in prima persona, in questo mio dire, mi viene in mente quanto il saggio e maturo Gianpaolo Pansa preconizzò settimane or sono al salotto televisivo “Otto ½” della Lilli esternando le sue preoccupazioni di una imminente e probabile rivoluzione nelle italiche contrade, poiché molti, troppi erano i motivi del contendere; e neppure tutti ben chiari e definiti. E sappiamo tutti come dalla massima di Mao Tze Tung: “Grande è la confusione sotto il cielo: la situazione è eccellente”, possano emergere scenari al cui confronto il pericolo per la democrazia di un Renzi, “solo al comando”, all’indomani di un risultato referendario positivo di riforma costituzionale del 4 dicembre 2016 fa semplicemente sorridere.

Ed in un contesto di referendum consultivi, seppure parziali regionali, ci si può anche intravvedere una contestazione “lombardo-veneta dietrologica” secessionista verso nostalgie asburgiche; in fondo sarebbe preferibile, secondo alcuni, Berlino e/o Vienna ladroni, anziché Roma, come per l’Alto Adige! Solo che, se gli Alto Atesini fecero veder i sorci verdi alla polizia italiana, con le loro sanguinose smanie secessionistiche e attività terroristiche degli anni ’50-’60, non mi pare che i lombardi veneti possano vantare un pitigry di tale specie. Né tanto meno abbiano voglia di distruggere tralicci e divellere rotaie di linee ferroviarie.

Spero che i due referendum si risolvano con una messa in scena pre elettorale voluta dalla Lega di Salvini per aumentare il proprio valore aggiunto di una politica nordista, visto che le trasferte sovraniste nel Mezzogiorno finora non hanno dato i risultati sperati. Ma alla lunga l’opportunismo camaleontico di Matteo Salvini non paga. L’operazione di centro-destra,  sovranista con Gianfranco Fini al Sud, leghista secessionista con Bossi al Nord e adulterata da una Forza Italia aziendalista di Berlusconi estesa a macchia di leopardo in tutta Italia fu l’armata brancaleone vincente nelle elezioni del 1994 ed a seguire. Ma poi se n’è vista l’evoluzione.

Non c’è pace nella politica dei movimenti e dei partiti; ed allora tutti i mezzi sono buoni per esaltare la demagogia autonomista di Salvini e il nichilismo antistato di Grillo.

E che “Dio ce la mandi buona”! E non è un’espressione scolastica (te la ricordi, Vittorio!) sulla supplente a sostituire la titolare della cattedra d’italiano, piuttosto acida e bruttina del liceo.

Rino Fruttini

 

Ormai zappare non basta più. Agricoltura in cerca di manager

Caro Vittorio,

leggo con interesse l’articolo di Andrea Scaglia “ I contadini del terzo millennio. Ormai zappare non basta più. Agricoltura in cerca di manager”

(Libero del 16 gennaio ’18) . La cosa più significativa è la conclusione con un commento di un addetto ai lavori: “Si, si,tutto giusto, tutto nuovo. Computer, manager. Però guarda te lo dico, quando si tratta di campagna qualcuno che metta  le mani nella merda ci vorrà sempre”. Analoga riflessione ho svolto qualche tempo fa in materia di artigianato, con una relazione tenuta al convegno a Perugia di Italia Nostra. Ti allego due documenti su tale argomento. Sono sicuro che qualcuno dei tuoi collaboratori esperti in materia di economia,  anziché accanirsi sempre sulla UE ed € , contrapponendo il  sostegno di un sovranismo fasullo, in competizione con la globalizzazione inevitabile, possa trovare spunti di riflessione, su strategie di un localismo nel contesto dell’e-commerce e del web.

Buona lettura.

Con affetto

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RINO FRUTTINI

 

L’ultima e mail a Vittorio Feltri

Caro Vittorio,

da alcuni giorni le mie e mail ritornano con una conferma: “non letta”. Peccato che tu non ne prenda contezza; ché esse contengono utili suggerimenti alla linea politica del tuo giornale, in materia di economia. E non solo. Ad esempio:  nel tuo fondo su ” Libero”  del tre gennaio 2019 svolgi una severa critica alla mancanza di “bon ton” del tuo mentore  Matteo Salvini,  circa il suo comportamento nell’esibirsi in filmini da Face Book, sopra il tetto del Viminale, la sua sede di ministro dell’interno “pro tempore”, mentre addenta un “panino pluristrato  Mac Donalds “, o un companatico alla Nutella. Per inciso: come autorevole sponsor di queste multinazionali, egli avrebbe il diritto ad un compenso, per una diffusione di questi marchi, almeno agli oltre due milioni del target dei suoi  followers. Poi nella prima pagina di oggi (4 gennaio) sfotti il Presidente del Consiglio Conte , mentre si prodiga in un galante baciamano alla sua pari grado tedesca , la signora Angela Merkel.  Ma ti capisco, caro Vittorio. In tal modo continui a mantenere una tiratura della tua creatura, almeno ai livelli di 107.000 copie giornaliere. Il che è un buon viatico per un’autonomia economico-finanziaria, a decorrere dall’anno 2020, con l’esaurimento dei contributi statali ai giornali stampati.

Questa, caro Vittorio, è solo la premessa della  mia presente lettera email, che ti preannuncio lunga , documentata e articolata. Infatti mi piace ora confutare, analizzando  punto per punto il servizio sull’Euro di “Libero” del 31 dicembre u.s. . Oltre cinque pagine di testo, grafici, commenti elaborati dai tuoi consulenti economici, confortati nell’ideologia Italexit, da brevi sinossi del pensiero di ben quattro economisti, premi nobel. Ne  emerge che le nostre disgrazie, passate , presenti e future , in materia di economia, siano  da imputare a tre personaggi della politica: Prodi, Ciampi e Andreatta, rispettivamente Presidente del consiglio, Governatore della Banca d’Italia e Ministro del Tesoro, del periodo incriminato, ed  a due fattori: la decisione  sul finire del 1981 del Ministro del Tesoro Andreatta, d’intesa con il Governatore della banca d’Italia Ciampi di rendere l’Istituto  completamente autonomo dal Governo. Con ciò veniva tolto l’obbligo dell’acquisto dei BOT rimasti invenduti alle aste. Ma i tuoi esperti, caro Vittorio, non si sono resi conto che con gli anni ‘80 le cose potevano e dovevano cambiare; la Nazione, nonostante un tasso di inflazione superiore al 20%,  era ancora in tempo a modificare la rotta. (Nel grafico, il tasso annuo di inflazione in Italia dal 1970. E’ evidenziato il limite del 2% definito dalla BCE dal 1999.Dati: FMI ). Molti furono i salvagenti che l’Italia aveva a disposizione; da una parte c’era l’Europa che chiamava, dall’altra vi erano centinaia e migliaia di piccole e medie imprese che avanzavano e cercavano di rialzare il ruolo svolto dalla nostra economia nel mondo. Con l’avvento del nuovo decennio, ’80-’90, ed un’economia globale in cui tutte le barriere iniziavano a crollare, l’Italia si trova ad un bivio, scegliere se pagare il conto del saldo passivo dell’inflazione  e andare avanti verso la strada della virtuosità europea, oppure continuare ad illudersi e rimanere isolati dal resto del mondo. Ovviamente la scelta fu la prima, e la si può intravedere dalle decisioni che i cittadini presero.  L’ abbandono della scala mobile, la sconfitta dei partiti storici alle elezioni dell’aprile ‘92, il referendum sulla riforma elettorale sono solo alcuni dei messaggi che in quegli anni venivano indirizzati alla classe dirigente.

Il secondo fattore delle nostre disgrazie viene imputato all’entrata in vigore dell’Euro come moneta di conto, nel 1999 con il governo Prodi . E per meglio argomentare le loro tesi, i tuoi esperti, caro Vittorio,con alla testa il dr. Michele Zaccardi  hanno lanciato agli improvvidi lettori di Libero una raffica, in sequenza,  delle seguenti espressioni e grafici di dati statistici di fonte Istat,Ocse, FM  che, in gergo si dice “bench marking” o analisi comparate, atte a dimostrare come si poteva stare meglio, con la nostra “liretta”,  se tutto fosse continuato senza Andreatta nel 1981 e Prodi nel 1996-1999 .

 

Ecco i fenomeni catastrofici  che l’equipe di Zaccardi, formata da Giovanni Piero Rotundo, Adriano Bascapè è andata  a scrufugliare fra le carte polverose di Via Cesare Balbo, la sede Istat a Roma .

  • Gli italiani in povertà assoluta sono aumentati del 67%; quelli di povertà relativa del 20%
  • Il Pil pro capite, seppure con qualche oscillazione negativa nella crisi del 2008 è rimasto costante. Tuttavia con una divaricazione negativa  se confrontato a quello tedesco di almeno 30 punti .
  • La crescita senza Euro, in una simulazione con la Lira moneta di conto dal 2000 fino al 2017 ci avrebbe portato a ben 10 punti di differenziale ,rispetto al PIL procapite oggi conseguito con l ‘ Euro.
  • il Reddito Pro Capite che nel 1996 era superiore di 3 punti percentuali a quello medio dell’Eurozona a 12 membri, oggi è invece inferiore a 15 punti verso  l’Eurozona a 28 membri.
  • nel 2000 l’Italia era la 8a potenza economica nel mondo ; ora è la 9a. Nel 1974, eravamo la 5° potenza; ma ancora non c’era né Cina, né Brasile né India a competere nella corsa alla crescita dell’economia mondiale .
  • In 17 anni di Euro, il nostro Pil è cresciuto del 2%, mentre quello della Spagna del 30% e quello della Germania del 24%, e della Francia del 21%.
  • Il nostro export mentre con la lira dal 1985 al 2001 è cresciuto ad una media annua del 7,9% (quello tedesco del +9,4%), con la Lira , dal 2002 al 2007 solo del +2,2% ( la Germania +6,7%).
  • Infine nel servizio di ben 5 pagine di commenti e tavole sinottiche viene rilevato come tutte le nazioni che fanno parte della UE, ma non hanno aderito all’Euro, hanno registrato dal 2002 al 2017 più alti incrementi di PIL che non le nazioni  con l’Euro.

 

Ma andiamo un po’ a ritroso nel tempo. Il concetto ideologico e  la dimensione geopolitica di Europa è sempre stato nei secoli ,un obiettivo di popoli e regnanti. Ben due guerre mondiali del XX secolo sono deflagrate per una politica , oggi diremmo “sovranista” che ha sortito una cultura ed un fanatismo di espansione geografica ed una politica teutonica di nazione egemone. Il tuo collaboratore esperto di economia, Giovanni Piero Rotundo conclude il suo articolo sostenendo, in una parafrasi del pensiero dell’economista statunitense , Martin Feldstei, che con l’Unione Europea non solo il rischio di una guerra intra-europea veniva ad aumentare, sebbene le cause di conflitti  fra Europa e Stati Uniti. Il che contraddice il principio delle aggregazioni istituzionali  di stati ,a semplificare i rapporti internazionali e facilitare il processo di pace. Dunque il progetto di Europa “work in progress”,  da  30 anni integrata negli stati tradizionali , si è evoluto con i suoi step attuativi, a partire dalla  CECA (Comunità europea del carbone e dell’acciaio), e poi al Consiglio d’Europa , ed ancora altri organi: la CEE, tesa a eliminare ogni barriera doganale all’interno degli Stati aderenti, e l’Euratom, mirante a sviluppare industrie nucleari europee per scopi pacifici; ed infine la  Commissione Europea, affiancata, nel 1979 dal Parlamento europeo, fino ai trattati di governo, il trattato di Maastricht e  nel 1999 l’Euro  e la Banca centrale europea. Ad oggi gli stati aderenti alla UE sono 28. Solo 8 non hanno aderito all’Euro. Mi pare una progressione di avvenimenti di notevole importanza, per affermare che L’Europa è, a tutti gli effetti, uno Stato Sovrano.  E che il fenomeno del sovranismo di certi movimenti domestici debba essere destinato al potere  centrale del Parlamento europeo ed ai suoi organi esecutivi, che non ai revanscismi di bassa strategia localista, questo è un altro passo da fare verso l’ulteriore integrazione strutturale di governo.

Ma per chi legge il pamphlet di Libero , quasi un “accrocchio” di “tesi luterane, protestanti”, affisse “alla porta della chiesa dell’ideologia dell’Italexit” fieramente avverse all’Europa ed all’Euro, dopo una semplice lettura, non può che giungere alle seguenti conclusioni, esattamente contrarie agli assunti che i  tre esperti di Libero si proponevano dimostrare .   Il divorzio della Banca d’Italia dal Ministero del Tesoro fu provocato da un’ esigenza di proteggere il potere d’acquisto della Lira ed evitare l’ulteriore incremento dell’inflazione, che negli ultimi anni di era incrementato fin quasi  il 25%.  Fino ad allora , se il mercato non voleva i BOT  al tasso stabilito dal Tesoro, la Banca d’Italia li acquistava, immettendo così moneta fresca nel sistema, ma senza le coperture di titoli provenienti dal mercato. Quando Andreatta divenne ministro del Tesoro,  subito avvertì il disagio di un’ economia che, dopo il secondo shock petrolifero del 1975, con il balzo delle quotazioni del petrolio e di tutte le commodities aveva portato il tasso di inflazione a due cifre. La scarsa propensione al risparmio delle famiglie ed un sistema automatico dell’indice di contingenza  di adeguamento dei salari al caro vita , determinato dall’accordo Agnelli (Confindustria), Lama (Sindacato) del 1975, fecero la loro parte nello squilibrio del sistema economico. La lira dunque era in grande sofferenza. E si prese la decisione  di entrare nello Sme per evitare danni ancora maggiori. Come altro lato  della medaglia, dei fattori influenti sulla finanza, il provvedimento di Andreatta determinò un incremento del tasso ufficiale di sconto e di conseguenza del debito dello Stato. Infatti: dalla tabella della succesione dei vari Governi della Repubblica di quel periodo emerge l’incremento del debito procapite dopo l’adesione all’Euro . Quindi, riepilogando,  fino al 1981 il Tesoro aveva la possibilità di finanziare la propria spesa utilizzando (oltre alla vendita di titoli presso privati) denaro fresco, creato dal nulla dalla Banca d’Italia tramite l’acquisto “fittizio” di titoli emessi dal Tesoro; questo denaro veniva immesso all’interno del settore privato (famiglie e aziende) all’atto della spesa pubblica. In pratica, a livello operativo, la Banca d’Italia “consentiva” semplicemente al Tesoro di monetizzare il proprio disavanzo. Capite bene che, in un contesto di questo tipo, il potere monetario non era affatto indipendente e sovraordinato agli poteri altri; al contrario, il suo controllo era ben saldo nelle mani del Tesoro, che a sua volta rispondeva al governo, al parlamento e al controllo della magistratura. “ In altre parole, il suo esercizio avveniva, nonostante tutti i limiti che potesse avere (la corruzione, la casta, i favori al cugino, le ostriche e lo champagne), all’interno del circuito democratico”.[1] La politica economico- finanziaria veniva dunque messa di fronte alle responsabilità dei suoi protagonisti, nelle loro sfere di responsabilità nella formazione e crescita del PIL : le imprese e il sindacato per la produttività di capitali investiti e di lavoro organizzato; la competizione nei mercati; il governo, quale espressione della volontà politica della Nazione, di riformare l’apparato della burocrazia  e l’ammodernamento delle infrastrutture nel’obiettivo di efficienza ed efficacia della gestione della fiscalità e della spesa; l’opinione pubblica con la drastica riduzione del tasso di inflazione.  Gli interessi che man mano maturavano sul debito era la merce di scambio per evitare la progressiva svalutazione della Lira . Infatti: dalla tabella della succesione dei vari Governi della Repubblica di quel periodo emerge l’incremento del debito procapite dopo l’adesione all’Euro e dalla tabella:  Andamento della spesa pubblica in Italia ( in % del PIL ) e sua ripartizione fra spese in conto gestione, in conto capitale ed interessi Fonte: Commissione Europea, banca dati AMECO, si rileva  come non si riuscì a governare la spesa creando ricchezza in c/ capitale, anziché disperdere le risorse del prelievo fiscale nella spesa corrente dei centri di spesa centrale e periferica.

Tuttavia anche il Pil pro capite crebbe seppure a ritmi inferiori al debito. Vedi tabella dell’andamento del debito pubblico e del PIL negli ultimi 10 anni.  Per cui lo scenario che si è venuto a determinare è stato quello di un rapporto debito/PIL in incremento soprattutto nel decennio 1882/1992 che i tuoi esperti, caro Vittorio, rilevano. Tuttavia a fronte di un tasso di inflazione  non superiore al 2%, è valsa la pena salvaguardare il livello dei redditi degli italiani, da una continua svalutazione della moneta nazionale, la Lira. La quale, a detta dei tuoi esperti, era la condizione per far competere le nostre merci ed il nostro sistema produttivo nei mercati. Cosa che invece ha ottenuto la Germania il cui Marco, con il passaggio all’Euro si è scrollato dal groppone le continue rivalutazioni , della lira, ad esempio, che poteva così competere con successo non sulla base di un rapporto ottimale “prezzo nominale delle merci” , “qualità di prodotto” e di “servizio”, ma sui “tirms of trade”, acquistando le materie prime in dollari, svalutati rispetto alla Lira, e rivenderne il prodotto finito sul mercato del Marco a prezzi fortemente rivalutati. Questa, caro Vittorio, è la storia della cosiddetta “svalutazione competitiva” che ci aveva fatto conquistare posizioni di preminenza sui mercati; e che aveva reso il popolo teutonico un po’ incattivito nei nostri confronti e che ha accelerato l’adozione dell’Euro come moneta unica. Gli esperti economici di “Libero” proseguono la loro disamina, facendo ulteriori confronti dei nostri fondamentali  prima e dopo l’adozione dell‘Euro, anche con gli altri partner europei. Essi , a loro dire, sono sempre negativi ,a causa dell’Euro e del suo abbrivio nella nostra economia. Eppure se osserviamo il grafico dell’andamento della  Produzione Industriale in Italia e nella zona Euro a 19 membri,  emerge chiaramente come essa sia stata sempre inferiore al resto dell’UE , indipendentemente dall’Euro. Mentre la crisi del 2008 ha portato il nostro gap verso il resto d’Europa ben oltre quello “ante crisi 2008” . La conferma di ciò la possiamo rilevare dal grafico degli Investimenti in % del PIL, nella divaricazione  gap Italia verso UE.  Ciò a significare che la nostra cattiva performance, di questi ultimi due decenni si deve soprattutto alla crisi del sistema industriale il quale, senza la svalutazione competitiva non ha mostrato il dinamismo di un tempo.  E pur tuttavia, da tutti questi paralleli emerge sempre che, data l’evoluzione della globalizzazione con l’ingresso nella competizione di nuove potenze industriali come la Cina, l’India, Il Brasile la nostra posizione, pur incrementando il volume dell’export ogni anno, tuttavia, essendo la torta notevolmente ampliata, anche la nostra aliquota ne ha subito le conseguenze, passando dal 4,8% del 1995 al 2,9% del 2018.

Infine, di fronte a crisi economiche congiunturali come “Lehmen Brothers” e i “Mutui sub prime” le nazioni europee hanno reagito con modalità e conseguenze diverse, secondo la loro stabilità politica e finanziaria, soprattutto bancaria. Ed è stata una fortuna per l’Italia essere sotto la protezione dell’Euro; altrimenti il default, con la Lira svalutata e “svalutabile” alla mercé della speculazione internazionale,  era cosa fatta. Occorre altresì rilevare che le scelte economiche sono sempre figlie di una strategia politica. Se prima del “divorzio Tesoro/ Banca d’Italia” il governo dell’economia era subordinato alla  crescita inflattiva, sovranista ,senza controlli esterni, da quel momento in poi il processo di integrazione europea, a fronte di una globalizzazione sempre più accentuata dell’economia e della finanza mondiale, segnò il nostro destino, verso un deficit di bilancio ed un progressivo indebitamento che il trattato di Maastricht poneva come limite strategico al 60% del PIL  e che l’Italia, per perseguire una progressiva riduzione aveva due scelte: la spending review  e/o l’incremento del PIL. Finora siamo riusciti, con un colpo al cerchio e uno alla botte,  perseguire la strategia del bottaio, come emerge dal grafico Rapporto debito/pil in Italia . E pur tuttavia nella tabella della comparazione dell’evoluzione del  reddito procapite dell’Italia rispetto agli altri paesi europei esso è sempre stato superiore fino al 2011; poi  la crisi economica mondiale  e la sua ripercussione sulla ricchezza nazionale è stata più forte in Italia che negli altri partner EU.  E vengo, caro Vittorio, ai 7 punti delle tavole sinottiche di tuoi amici esperti economici :

 

  • Gli italiani in povertà assoluta sono aumentati del 67%; quelli di povertà relativa del 20%.

Ebbene il fenomeno della povertà non si deve imputare all’Euro ma alla stratificazione squilibrata della ricchezza fra regioni affluenti (nord) e regioni del terzo mondo del Mezzogiorno. Ovvero si tratta di fare un profondo “mea culpa” e chiedersi perché le linee di credito UE verso il Mezzogiorno realizzino, più che nuove opere, residui passivi, ovvero risorse disponibili e non impiegate. Tutto ciò si evince dalla lettura del grafico: Incidenza della povertù assoluta in Italia per aree geografiche.

                       

2,3) Il Pil pro capite, seppure con qualche oscillazione negativa nella crisi del 2008 è rimasto costante.   Tuttavia  con una divaricazione negativa  rispetto a quello tedesco di almeno 30 punti .

“La Germania, con il suo modello di sviluppo, è qualcosa di irripetibile. Non solo in Europa ma in tutto il Pianeta. Per avere un’idea, il surplus della Cina – che Donald Trump sta colpendo duramente con i dazi sull’acciaio e sull’alluminio – sarà pari, nel 2018, a circa 80 miliardi di dollari. Quello tedesco è invece stimato, per lo stesso anno, in circa 320 miliardi. Quattro volte tanto. Scaduta la tregua – il mese di maggio – sarà quindi dura per l’Europa negare questa evidenza e respingere le provocazioni del Presidente americano. L’Italia si muove sulla stessa scia, seppure con una velocità ben più modesta: appena del 20 per cento. Ma sono i suoi drammatici problemi sociali, con i loro riflessi di carattere politico, a richiedere una riflessione ben più seria sulle cose da fare”[2].

 

 

 

 

  • Il Reddito Pro Capite che nel 1996 era pari a +3 punti percentuali a quello medio dell’Eurozona a 12 membri, oggi è invece pari a – 15 punti con l’Eurozona a 28 membri. (vedi grafico di pag. 5).

Ai punti 5,6,7,8 o già risposto nelle pagine precedenti.

 

CONCLUSIONI

Caro Vittorio, mi rendo conto che il discorso sia stato lungo, articolato e complesso. Ma ho ritenuto mio dovere ribadire al Commissario Inquisitore dell’ Euro (€) che fa capo alla redazione di Libero  e rintuzzare punto per punto i suoi capi di accusa che si rivelano pretestuosi e inconsistenti. La morale si riconduce al discorso di un semplice confronto fra la situazione pre fallimentare dell’Italia e soprattutto della sua moneta , quando nel 1975  raggiunse il tasso di inflazione mai registrato prima: 25%.Oggi siamo neppure al 2%, allineati agli altri partner europei. Ma non riusciamo a recuperare il gap di un coacervo di  fattori di successo per competere con i partner più industrializzati  dell’Europa : produttività del sistema Italia, sia privato (ottimizzazione della quantità di prodotti e/o servizi  per unità di tempo e di ULA (Unità  lavorative  annue) che pubblico (ottimizzazione del rapporto costi/benefici sia della spesa corrente che di quella in conto capitale) ; rendere efficiente ed efficace la burocrazia dei tre poteri dello stato, legislativo, esecutivo e giudiziario, per il raggiungimento di una comunità statuale operosa e coesa degli  obiettivi del bilancio dello Stato a medio termine ovvero  l’incremento del Pil secondo tassi di crescita più che proporzionali  rispetto alle riduzioni delle spese improduttive dell’apparato dello Stato. Solo a queste condizioni  di sviluppo non condizionato dalla svalutazioni competitive della moneta potremo incremenentare il numero di occupati così da raggiungere almeno al media UE.

 

 

 

 

Perugia, 7 gennaio 2019

Rino Fruttini

 

 

 

 

 

[1] https://memmttoscana.wordpress.com/2013/09/15/come-si-finanziava-litalia-prima-del-divorzio-fra-tesoro-e-banca-ditalia-parte-5/

[2] Vi spiego analogie e differenze economiche fra Italia e Germania  di Gianfranco Polillo ; Grafici da Scenarieconomici.it

 

UN COMMENTO ALLA FINE DI QUESTO 2018 , TRIBOLATO ED ASSURDO,

UN COMMENTO ALLA FINE DI QUESTO 2018 , TRIBOLATO ED ASSURDO,
non può prescindere dal prendere in esame lo stato dell’arte di Perugia con il suo centro storico. Oggi sono andato all’Ufficio Permessi per restituire il telepass ed aggiornare la mia posizione di residente per il nuovo varco di Via Baglioni. E non ho potuto fare a meno di ricordare la storia della Z.T.L. (zona a traffico limitato) sorta di pari passo con l’avvio del sistema ettometrico, scale mobili collegate ai parcheggi pertinenziali, a corona dei varchi all’ acropoli . Già negli anni ’70 si era compreso come il traffico privato dovesse essere ridotto e disciplinato, in un contesto ambientale medievale. Ma già da allora i governanti perugini non avevano capito che la fuga dei residenti, ormai “automobile-dipendenti” verso la periferia, avrebbe provocato la desertificazione del centro storico. Né la riconversione di “destinazione d’uso” dei palazzi dell’acropoli da abitazioni, anche patrizie, a sedi della nuova burocrazia regionale poteva evitare lo squilibrio territoriale del rapporto strutturale e funzionale: residenze/servizi. Per cui iniziò lo stillicidio dei commercianti, rimasti a presidiare il loro esercizio, e della loro “lobby” verso il Palazzo nel denunciare lo svuotamento del centro storico e la caduta della loro sopravvivenza economica. Di pari passo sopravvenne la stagione degli eventi e la loro sussidiarietà, alla tanto reclamata attrazione di “nani e ballerine” , quale indotto che poi si rileverà effervescente , soprattutto per la refezione alimentare del “mordi e fuggi”. Nei giorni scorsi alcuni sensori dell’attività del turismo, alberghiero ed extra (B&B, Agriturismi, Casa & vacanze, etc.) hanno rilevato una ripresa di arrivi e presenze nella nostra città. Ebbene, a fronte di tale fenomeno, cosa ti fa la solerte e improvvida Amministrazione comunale: allarga le maglie della Z.T.L. praticamente a tutte le ore della giornata (dalle 10 a.m. alla mezzanotte). E’ chiaro anche ai più sprovveduti in materia che in tal modo la conquista di spazi , quasi sempre precari, alle automobile, ne sottrae altrettanto alla fruizione della vivibilità del centro storico anche per i turisti, seppure ancor oggi quelli saltuari del “mordi e fuggi”. Non solo. Viale Indipendenza e la rotatoria di Piazza Italia ormai sono divenuti un’arteria per la mobilità di automobili, con solo autista ed Autobus della Umbria Mobilità, anch’essi vuoti, ma con autista (vedi foto allegata). Uno spettacolo dunque di grande mobilità, ma solo di mezzi meccanici. La morale di questo intervento resta sempre quella di evidenziare un’ incompetenza della Giunta perugina a conciliare vocazioni ed attese di un centro storico medievale, verso soluzioni urbanistiche (strutturali) e congiunturali-funzionali (MKT territoriale) che travalichino il fenomeno positivo dei flussi di arrivi di forestieri , ma anzi lo potenzino con insediamenti di nuove residenze e attività artigianali e commerciali che rimangano nel tempo. A questo proposito rimando al mio blog www.rinofruttini.it alla pagina “articoli” ed al titolo : “SINTESI DOCUMENTO PROGETTUALE “ENCLAVE CASA & BOTTEGA IN UN RIONE DEL CENTRO STORICO DI PERUGIA”
In allegato alcuni esempi di fruibilità dell’acropoli, come quello della pista da pattinaggio , che può soddisfare qualche velleità di tradizione nordico-scandinava, ma toglie spazio alle numerose comitive di turisti ad ammirare il palazzo del capitano de popolo; o quello di una schiera di piccoli studenti che fanno ringiovanire i vecchi palazzi della storia medievale.

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