Il Progetto di Giuseppe Garibaldi per il Tevere di Roma e le sagge obiezioni di Quintino Sella

Il Progetto di Giuseppe Garibaldi per il Tevere di Roma e le sagge obiezioni di Quintino Sella
Nel “Corriere dell’Umbria” dell’11 marzo 1875, ovvero circa 8 anni dopo le vicendegaribaldine sulla questione romana, e l’epopea dell’Agro Romano, quando Giuseppe Garibaldi era senatore del regno, viene riportato ancora una volta un suo progetto di irrigazione dell’Agro Romano mediante un canale alimentato dal Tevere. Nel 1875, arrivato a Roma come parlamentare, risuscitò l’idea di Cesare di deviare il corso del fiume presentando il progetto con un disegno di legge alla memorabile seduta della Camera del 26 maggio 1876. Il concetto era analogo a .a quello proposto da Giulio Cesare, come viene riferito da Plutarco:  il Tevere, anziché scorrere fra il Campo Marzio e il Campo Vaticano, veniva deviato fra il Campo Vaticano e i Gianicolo, per arrivare al mare vicino a Terracina, attraverso le paludi pontine. Il Mommsen, accennando a questa soluzione, osserva come Giulio Cesare mostrasse di volere sconvolgere la stessa natura.
Tale grandioso progetto mirava a tre risultati importanti: aumentare l’area fabbricabile nel centro di Roma, concedendo tutto il Campo Marzio per la costruzione di edifici pubblici e privati: sistemare le paludi pontine: congiungere Roma con un porto comodo e a1 tempo stesso sicuro; veniva tutelata Roma contro le inondazioni,
veniva dotata di un canale che ripristinasse le comunicazioni commerciali e
risolvere al tempo stesso, colla irrigazione, il risanamento dell’agro romano.
L’ipotesi suscitò gran dibattito, apparendo ad alcuni quasi blasfema, ma facendo
balenare, ad altri, il sogno di ritrovamenti smisurati di tesori, archeologici o propriamente preziosi, inabissati nel fiume lungo i secoli. Di tale suo progetto Garibaldi
ne parlò con Quintino Sella, ex ministro delle finanze ed allora deputato del
Parlamento. Da ministro delle finanze realizzò il pareggio di bilancio. Nel 1876,
senza più incarichi politici di rilievo, Sella tornò ad occuparsi in maniera più attiva
del lanificio di famiglia, dopo la morte del fratello Giuseppe Venanzio. Era molto
amico di Garibaldi. Ed ecco il reportage dal titolo:
Sella e i progetti di Garibaldi
Un corrispondente della Neue Freie Presse le invia da Roma una lunga relazione su di una conversazione da lui avuta con Quintino Sella, accompagnandola con vari cenni di particolare encomioper questo illustre statista italiano. Noi ne riproduciamo il seguente brano, che riteniamo di maggiore
interesse per il pubblico, poiché in esso, sulla fede del corrispondente tedesco, sono esposte
le idee con cui Sella giudica il progetto di prosciugamento dell’Agro Romano. Pertanto dunque a
discorrere su tale argomento, con un accenno all’invito che egli ebbe da Garibaldi di porsi a capo
della grande intrapresa, il Sella avrebbe risposto: “Sfortunatamente ho dovuto rifiutare, perché non
mi riuscì di accordare con la mia persuasione le vedute del generale, il cui generoso spirito patriottico
tutti ci colma di grande ammirazione. Il generale ha la sua idea fissa; il suo piano consiste,
per dire in breve, nella costruzione di un canale di Tevere al mare. Esso dovrebbe essere lungo
trentamila metri, largo cento e dieci metri profondo, cioè 30 milioni di metri cubi di escavazione,
che calcolati ad una lira importerebbero 30 milioni di lire. Secondo i calcoli di Garibaldi, occorrerebbero
adunque 30 milioni di lire all’impresa. Ora, in questi calcoli non sono punto prevedute
le eventuali difficoltà del terreno, si può incontrare dei punti in cui si renda necessario uno scavo
maggiore e di quelli ove necessiti empimento. In entrambi i casi ne conseguirebbe un notevole
aumento di spesa. Oltre ciò alla foce del canale, presso Fiumicino si dovrebbe costruire un porto;
da ultimo occorrerebbe la formazione di un capitale per assicurare la costosa manutenzione del
canale-le spese in una parola risulterebbero incalcolabili, ed io non garantirei che, non 40 o 50
ma forse più di 100 milioni sarebbero necessari all’esecuzione del progetto di Garibaldi. Dovendosi
una volta spendere tanto denaro è bene ragionevole la domanda, se poi l’utilità dello scopo
vi corrisponderebbe. Ma anche in ciò purtroppo debbo essere di contraria opinione al generale;
noi avremmo un canale ma non bastimenti che lo navigano; una nuova via commerciale ma non
commercio: la concorrenza con Livorno non potrebbe essere sostenuta da Roma, e la produttività
dell’Agro Romano, per quanto abbondante possa essere, non basterebbe ad alimentare da sola la
via commerciale… D’altronde col canale solo, si sarebbe fatto ben poco. Noi abbiamo calcolato già
nell’anno 1870 ciò che costerebbe ridurre Roma allo stato di una moderna capitale: una somma
favolosa. Un Governo, che già due volte si tramutò di residenza, trascinandosi dietro un grandioso
meccanismo amministrativo, si vede obbligato a spese di cui non si può avere idea altrove. In Roma
stessa sono maggiori le spese di Governo che non lo erano al tempo del Papa; un regime secolare
costa più che un regime ecclesiastico. Un monaco non spende quanto una famiglia d’impiegato. Un
Governo di preti fa ancho meno per iscopi morali, per scuole, istituti scientifici ed altro. Abbiamo
calcolato che ad ogni trasporto di capitale la seguivano circa 60 mila persone, gente della Corte, impiegati,
banchieri, commercianti. Questo fu il numero, allorché andammo a Firenze; eguale quando
venimmo a Roma. Or si pensi una città ad un tratto invasa da 60 mila uomini! Roma in cui la vita
era così a buon mercato, da un giorno all’altro divenne una città oltremodo cara, le pigioni soprattutto
salirono rapidamente a prezzi straordinari. Una penosa penuria di abitazioni era inevitabile.
Perciò io sostengo che la prima cosa da farsi è di fabbricare case per i 60 mila individui che qui
giunsero alle calcagna del Governo. Si tratta di dover fondare una vera città ed è facile il calcolo di
quello che questa città costerebbe: per 60mila persone occorrono 60 mila camere; la costruzione di
una camera costa 4.000 lire, per cui avremo un importo di 240 milioni. Spese di studi preliminari,
piani ed altro, 60 milioni; in tutto 300 milioni. Una volta costruita la nuova Roma e ampliata la capitale
italiana ad una città abitabile: allora possiamo rivolgere le nostre cure al contado. Deve essere
regolato il corso del Tevere, ed a ciò fare non occorrono meno di 100 milioni; deve essere fatto
innanzi tutto qualche cosa per il miglioramento dell’Agro Romano, e fra tutte le imprese questa sarà
la più difficile e costosa. Per concludere: onde fare di Roma un centro di attrazione, per tramutare
la campagna circostante in condizioni rispondenti ad una capitale, non occorre meno, secondo i
nostri calcoli di mille cinquecento milioni.”
Se le parole del corrispondente del giornale viennese sono vere, si vede che il Sella non è di massima
avverso al progetto di Garibaldi, ma che lo giudica dal punto di vista dell’opportunità, come
un’impresa intempestiva. Secondo il finanziere italiano, la regolazione del Tevere ed il prosciugamento
dell’Agro Romano è un’opera colossale che ha d’uopo di essere maturata dal tempo e che
soverchia di troppo le forze di cui può disporre al presente l’Italia. Non sempre, è vero, la logica
delle cifre è la più saggia; ma pure, di fronte ad intraprese come quella progettata dall’idea generosa
del generale Garibaldi, anche il patriottismo deve patteggiare col calcolo!