Il ministro dell’economia Roberto Gualtieri , dopo la pubblicazione dell’ultimo decreto sul rilancio dell’economia ha iniziato il giro delle “sette chiese” massmediatiche: Rai, Mediaset, La7. La musica e lo spartito sono i soliti. Si raccolgono le proteste delle varie categorie produttive della comunità nazionale. E si stigmatizzano i ritardi delle erogazioni ai beneficiari. La burosaurocrazia imperversa. Il quadro è chiaro. Non c’è una categoria che non abbia ricevuto o stia per ricevere “cassa integrazione guadagni”, contributo forfettario una tantum, azzeramento o riduzione e/o rimodulazione di imposte o tasse, mutui a tasso agevolato e garantiti dallo Stato, ristori vari e articolati per le varie poste contabili del conto economico aziendale.
Non sara facile recuperare lo standard di vita cui siamo abituati, senza sacrifici rilevanti.
E veniamo al fenomeno della crisi come si presenta nell’acropoli perugina. In prima linea le vittime più colpite sono quelle della ristorazione: dei fast food nati come funghi negli ultimi anni. L’iniziativa privata va dove l’imprenditore stima che ci sia una domanda, adeguata per il proprio business. Egli calcola il rischio di impresa, che emerge nella competizione, i “costi di costruzione” del suo investimento patrimoniale e piano di ammortamento per recuperarli, almeno in cinque anni di attività, possibilmente a regime dopo i primi due anni di esercizio. L’acropoli perugina, in seguito ai successi di festival e sagre di grande richiamo di gente del fine settimana, è stata percepita dagli imprenditori del fast food come un mercato di buona ricezione della propria offerta. Ma è evidente che come viene meno tale afflusso di acme congiunturale festivaliero, cade tutta l’impalcatura del piano di marketing che l’imprenditore si era costruito.
L’errore delle giunte comunali degli ultimi decenni è stato quello di aver illuso le prospettive di intrapresa dei soggetti sopradetti, con una politica di agevolazione all’incontro dell’ offerta del fast food, verso la domanda del “mordi e fuggi”. In tal modo è venuta meno una prospettiva di consolidamento di categorie di abitatori residenziali, in un ambito di comunità integrata di offerta artigiana, di attività commerciali, legate anche al tessile abbigliamento, con la maglieria, della quale Perugia è un distretto propulsivo. La ristorazione avrebbe avuto “ristoro” da una domanda legata anche al turismo alberghiero ed extra alberghiero, collegato anche ai festival , progettati e organizzati secondo un palinsesto non vincolato al massivo flusso del “mordi e fuggi”. Avremmo avuto dunque una ripartizione del rischio, a fronte del quale, una pandemia di tal fatta, non avrebbe provocato la desertificazione di queste “lande paesistiche cittadine” perché almeno un 10.000 residenti, avendo recuperato gli antichi “loci”medievali , opportunamente e creativamente riadattati alle esigenze della domotica, ne avrebbero garantito la sopravvivenza.
Ammesso che si voglia ritornare, pedissequamente, ai vecchi schemi dei flussi dei passeggeri festivalieri e degli attavolamenti estivi e della soddisfazione degli incontenibili bisogni del mordi e fuggi, ci vorranno almeno due anni per recuperare lo standard “ante quo”.
Mi domando allora se non valga la pena impostare un progetto di riconversione di tali attività, verso l’artigianato del tessile abbigliamento o di altri comparti del sistema moda, nel quale Perugia ha dimostrato più di una volta di avere le giuste potenzialità.