L’ultima e mail a Vittorio Feltri

Caro Vittorio,

da alcuni giorni le mie e mail ritornano con una conferma: “non letta”. Peccato che tu non ne prenda contezza; ché esse contengono utili suggerimenti alla linea politica del tuo giornale, in materia di economia. E non solo. Ad esempio:  nel tuo fondo su ” Libero”  del tre gennaio 2019 svolgi una severa critica alla mancanza di “bon ton” del tuo mentore  Matteo Salvini,  circa il suo comportamento nell’esibirsi in filmini da Face Book, sopra il tetto del Viminale, la sua sede di ministro dell’interno “pro tempore”, mentre addenta un “panino pluristrato  Mac Donalds “, o un companatico alla Nutella. Per inciso: come autorevole sponsor di queste multinazionali, egli avrebbe il diritto ad un compenso, per una diffusione di questi marchi, almeno agli oltre due milioni del target dei suoi  followers. Poi nella prima pagina di oggi (4 gennaio) sfotti il Presidente del Consiglio Conte , mentre si prodiga in un galante baciamano alla sua pari grado tedesca , la signora Angela Merkel.  Ma ti capisco, caro Vittorio. In tal modo continui a mantenere una tiratura della tua creatura, almeno ai livelli di 107.000 copie giornaliere. Il che è un buon viatico per un’autonomia economico-finanziaria, a decorrere dall’anno 2020, con l’esaurimento dei contributi statali ai giornali stampati.

Questa, caro Vittorio, è solo la premessa della  mia presente lettera email, che ti preannuncio lunga , documentata e articolata. Infatti mi piace ora confutare, analizzando  punto per punto il servizio sull’Euro di “Libero” del 31 dicembre u.s. . Oltre cinque pagine di testo, grafici, commenti elaborati dai tuoi consulenti economici, confortati nell’ideologia Italexit, da brevi sinossi del pensiero di ben quattro economisti, premi nobel. Ne  emerge che le nostre disgrazie, passate , presenti e future , in materia di economia, siano  da imputare a tre personaggi della politica: Prodi, Ciampi e Andreatta, rispettivamente Presidente del consiglio, Governatore della Banca d’Italia e Ministro del Tesoro, del periodo incriminato, ed  a due fattori: la decisione  sul finire del 1981 del Ministro del Tesoro Andreatta, d’intesa con il Governatore della banca d’Italia Ciampi di rendere l’Istituto  completamente autonomo dal Governo. Con ciò veniva tolto l’obbligo dell’acquisto dei BOT rimasti invenduti alle aste. Ma i tuoi esperti, caro Vittorio, non si sono resi conto che con gli anni ‘80 le cose potevano e dovevano cambiare; la Nazione, nonostante un tasso di inflazione superiore al 20%,  era ancora in tempo a modificare la rotta. (Nel grafico, il tasso annuo di inflazione in Italia dal 1970. E’ evidenziato il limite del 2% definito dalla BCE dal 1999.Dati: FMI ). Molti furono i salvagenti che l’Italia aveva a disposizione; da una parte c’era l’Europa che chiamava, dall’altra vi erano centinaia e migliaia di piccole e medie imprese che avanzavano e cercavano di rialzare il ruolo svolto dalla nostra economia nel mondo. Con l’avvento del nuovo decennio, ’80-’90, ed un’economia globale in cui tutte le barriere iniziavano a crollare, l’Italia si trova ad un bivio, scegliere se pagare il conto del saldo passivo dell’inflazione  e andare avanti verso la strada della virtuosità europea, oppure continuare ad illudersi e rimanere isolati dal resto del mondo. Ovviamente la scelta fu la prima, e la si può intravedere dalle decisioni che i cittadini presero.  L’ abbandono della scala mobile, la sconfitta dei partiti storici alle elezioni dell’aprile ‘92, il referendum sulla riforma elettorale sono solo alcuni dei messaggi che in quegli anni venivano indirizzati alla classe dirigente.

Il secondo fattore delle nostre disgrazie viene imputato all’entrata in vigore dell’Euro come moneta di conto, nel 1999 con il governo Prodi . E per meglio argomentare le loro tesi, i tuoi esperti, caro Vittorio,con alla testa il dr. Michele Zaccardi  hanno lanciato agli improvvidi lettori di Libero una raffica, in sequenza,  delle seguenti espressioni e grafici di dati statistici di fonte Istat,Ocse, FM  che, in gergo si dice “bench marking” o analisi comparate, atte a dimostrare come si poteva stare meglio, con la nostra “liretta”,  se tutto fosse continuato senza Andreatta nel 1981 e Prodi nel 1996-1999 .

 

Ecco i fenomeni catastrofici  che l’equipe di Zaccardi, formata da Giovanni Piero Rotundo, Adriano Bascapè è andata  a scrufugliare fra le carte polverose di Via Cesare Balbo, la sede Istat a Roma .

  • Gli italiani in povertà assoluta sono aumentati del 67%; quelli di povertà relativa del 20%
  • Il Pil pro capite, seppure con qualche oscillazione negativa nella crisi del 2008 è rimasto costante. Tuttavia con una divaricazione negativa  se confrontato a quello tedesco di almeno 30 punti .
  • La crescita senza Euro, in una simulazione con la Lira moneta di conto dal 2000 fino al 2017 ci avrebbe portato a ben 10 punti di differenziale ,rispetto al PIL procapite oggi conseguito con l ‘ Euro.
  • il Reddito Pro Capite che nel 1996 era superiore di 3 punti percentuali a quello medio dell’Eurozona a 12 membri, oggi è invece inferiore a 15 punti verso  l’Eurozona a 28 membri.
  • nel 2000 l’Italia era la 8a potenza economica nel mondo ; ora è la 9a. Nel 1974, eravamo la 5° potenza; ma ancora non c’era né Cina, né Brasile né India a competere nella corsa alla crescita dell’economia mondiale .
  • In 17 anni di Euro, il nostro Pil è cresciuto del 2%, mentre quello della Spagna del 30% e quello della Germania del 24%, e della Francia del 21%.
  • Il nostro export mentre con la lira dal 1985 al 2001 è cresciuto ad una media annua del 7,9% (quello tedesco del +9,4%), con la Lira , dal 2002 al 2007 solo del +2,2% ( la Germania +6,7%).
  • Infine nel servizio di ben 5 pagine di commenti e tavole sinottiche viene rilevato come tutte le nazioni che fanno parte della UE, ma non hanno aderito all’Euro, hanno registrato dal 2002 al 2017 più alti incrementi di PIL che non le nazioni  con l’Euro.

 

Ma andiamo un po’ a ritroso nel tempo. Il concetto ideologico e  la dimensione geopolitica di Europa è sempre stato nei secoli ,un obiettivo di popoli e regnanti. Ben due guerre mondiali del XX secolo sono deflagrate per una politica , oggi diremmo “sovranista” che ha sortito una cultura ed un fanatismo di espansione geografica ed una politica teutonica di nazione egemone. Il tuo collaboratore esperto di economia, Giovanni Piero Rotundo conclude il suo articolo sostenendo, in una parafrasi del pensiero dell’economista statunitense , Martin Feldstei, che con l’Unione Europea non solo il rischio di una guerra intra-europea veniva ad aumentare, sebbene le cause di conflitti  fra Europa e Stati Uniti. Il che contraddice il principio delle aggregazioni istituzionali  di stati ,a semplificare i rapporti internazionali e facilitare il processo di pace. Dunque il progetto di Europa “work in progress”,  da  30 anni integrata negli stati tradizionali , si è evoluto con i suoi step attuativi, a partire dalla  CECA (Comunità europea del carbone e dell’acciaio), e poi al Consiglio d’Europa , ed ancora altri organi: la CEE, tesa a eliminare ogni barriera doganale all’interno degli Stati aderenti, e l’Euratom, mirante a sviluppare industrie nucleari europee per scopi pacifici; ed infine la  Commissione Europea, affiancata, nel 1979 dal Parlamento europeo, fino ai trattati di governo, il trattato di Maastricht e  nel 1999 l’Euro  e la Banca centrale europea. Ad oggi gli stati aderenti alla UE sono 28. Solo 8 non hanno aderito all’Euro. Mi pare una progressione di avvenimenti di notevole importanza, per affermare che L’Europa è, a tutti gli effetti, uno Stato Sovrano.  E che il fenomeno del sovranismo di certi movimenti domestici debba essere destinato al potere  centrale del Parlamento europeo ed ai suoi organi esecutivi, che non ai revanscismi di bassa strategia localista, questo è un altro passo da fare verso l’ulteriore integrazione strutturale di governo.

Ma per chi legge il pamphlet di Libero , quasi un “accrocchio” di “tesi luterane, protestanti”, affisse “alla porta della chiesa dell’ideologia dell’Italexit” fieramente avverse all’Europa ed all’Euro, dopo una semplice lettura, non può che giungere alle seguenti conclusioni, esattamente contrarie agli assunti che i  tre esperti di Libero si proponevano dimostrare .   Il divorzio della Banca d’Italia dal Ministero del Tesoro fu provocato da un’ esigenza di proteggere il potere d’acquisto della Lira ed evitare l’ulteriore incremento dell’inflazione, che negli ultimi anni di era incrementato fin quasi  il 25%.  Fino ad allora , se il mercato non voleva i BOT  al tasso stabilito dal Tesoro, la Banca d’Italia li acquistava, immettendo così moneta fresca nel sistema, ma senza le coperture di titoli provenienti dal mercato. Quando Andreatta divenne ministro del Tesoro,  subito avvertì il disagio di un’ economia che, dopo il secondo shock petrolifero del 1975, con il balzo delle quotazioni del petrolio e di tutte le commodities aveva portato il tasso di inflazione a due cifre. La scarsa propensione al risparmio delle famiglie ed un sistema automatico dell’indice di contingenza  di adeguamento dei salari al caro vita , determinato dall’accordo Agnelli (Confindustria), Lama (Sindacato) del 1975, fecero la loro parte nello squilibrio del sistema economico. La lira dunque era in grande sofferenza. E si prese la decisione  di entrare nello Sme per evitare danni ancora maggiori. Come altro lato  della medaglia, dei fattori influenti sulla finanza, il provvedimento di Andreatta determinò un incremento del tasso ufficiale di sconto e di conseguenza del debito dello Stato. Infatti: dalla tabella della succesione dei vari Governi della Repubblica di quel periodo emerge l’incremento del debito procapite dopo l’adesione all’Euro . Quindi, riepilogando,  fino al 1981 il Tesoro aveva la possibilità di finanziare la propria spesa utilizzando (oltre alla vendita di titoli presso privati) denaro fresco, creato dal nulla dalla Banca d’Italia tramite l’acquisto “fittizio” di titoli emessi dal Tesoro; questo denaro veniva immesso all’interno del settore privato (famiglie e aziende) all’atto della spesa pubblica. In pratica, a livello operativo, la Banca d’Italia “consentiva” semplicemente al Tesoro di monetizzare il proprio disavanzo. Capite bene che, in un contesto di questo tipo, il potere monetario non era affatto indipendente e sovraordinato agli poteri altri; al contrario, il suo controllo era ben saldo nelle mani del Tesoro, che a sua volta rispondeva al governo, al parlamento e al controllo della magistratura. “ In altre parole, il suo esercizio avveniva, nonostante tutti i limiti che potesse avere (la corruzione, la casta, i favori al cugino, le ostriche e lo champagne), all’interno del circuito democratico”.[1] La politica economico- finanziaria veniva dunque messa di fronte alle responsabilità dei suoi protagonisti, nelle loro sfere di responsabilità nella formazione e crescita del PIL : le imprese e il sindacato per la produttività di capitali investiti e di lavoro organizzato; la competizione nei mercati; il governo, quale espressione della volontà politica della Nazione, di riformare l’apparato della burocrazia  e l’ammodernamento delle infrastrutture nel’obiettivo di efficienza ed efficacia della gestione della fiscalità e della spesa; l’opinione pubblica con la drastica riduzione del tasso di inflazione.  Gli interessi che man mano maturavano sul debito era la merce di scambio per evitare la progressiva svalutazione della Lira . Infatti: dalla tabella della succesione dei vari Governi della Repubblica di quel periodo emerge l’incremento del debito procapite dopo l’adesione all’Euro e dalla tabella:  Andamento della spesa pubblica in Italia ( in % del PIL ) e sua ripartizione fra spese in conto gestione, in conto capitale ed interessi Fonte: Commissione Europea, banca dati AMECO, si rileva  come non si riuscì a governare la spesa creando ricchezza in c/ capitale, anziché disperdere le risorse del prelievo fiscale nella spesa corrente dei centri di spesa centrale e periferica.

Tuttavia anche il Pil pro capite crebbe seppure a ritmi inferiori al debito. Vedi tabella dell’andamento del debito pubblico e del PIL negli ultimi 10 anni.  Per cui lo scenario che si è venuto a determinare è stato quello di un rapporto debito/PIL in incremento soprattutto nel decennio 1882/1992 che i tuoi esperti, caro Vittorio, rilevano. Tuttavia a fronte di un tasso di inflazione  non superiore al 2%, è valsa la pena salvaguardare il livello dei redditi degli italiani, da una continua svalutazione della moneta nazionale, la Lira. La quale, a detta dei tuoi esperti, era la condizione per far competere le nostre merci ed il nostro sistema produttivo nei mercati. Cosa che invece ha ottenuto la Germania il cui Marco, con il passaggio all’Euro si è scrollato dal groppone le continue rivalutazioni , della lira, ad esempio, che poteva così competere con successo non sulla base di un rapporto ottimale “prezzo nominale delle merci” , “qualità di prodotto” e di “servizio”, ma sui “tirms of trade”, acquistando le materie prime in dollari, svalutati rispetto alla Lira, e rivenderne il prodotto finito sul mercato del Marco a prezzi fortemente rivalutati. Questa, caro Vittorio, è la storia della cosiddetta “svalutazione competitiva” che ci aveva fatto conquistare posizioni di preminenza sui mercati; e che aveva reso il popolo teutonico un po’ incattivito nei nostri confronti e che ha accelerato l’adozione dell’Euro come moneta unica. Gli esperti economici di “Libero” proseguono la loro disamina, facendo ulteriori confronti dei nostri fondamentali  prima e dopo l’adozione dell‘Euro, anche con gli altri partner europei. Essi , a loro dire, sono sempre negativi ,a causa dell’Euro e del suo abbrivio nella nostra economia. Eppure se osserviamo il grafico dell’andamento della  Produzione Industriale in Italia e nella zona Euro a 19 membri,  emerge chiaramente come essa sia stata sempre inferiore al resto dell’UE , indipendentemente dall’Euro. Mentre la crisi del 2008 ha portato il nostro gap verso il resto d’Europa ben oltre quello “ante crisi 2008” . La conferma di ciò la possiamo rilevare dal grafico degli Investimenti in % del PIL, nella divaricazione  gap Italia verso UE.  Ciò a significare che la nostra cattiva performance, di questi ultimi due decenni si deve soprattutto alla crisi del sistema industriale il quale, senza la svalutazione competitiva non ha mostrato il dinamismo di un tempo.  E pur tuttavia, da tutti questi paralleli emerge sempre che, data l’evoluzione della globalizzazione con l’ingresso nella competizione di nuove potenze industriali come la Cina, l’India, Il Brasile la nostra posizione, pur incrementando il volume dell’export ogni anno, tuttavia, essendo la torta notevolmente ampliata, anche la nostra aliquota ne ha subito le conseguenze, passando dal 4,8% del 1995 al 2,9% del 2018.

Infine, di fronte a crisi economiche congiunturali come “Lehmen Brothers” e i “Mutui sub prime” le nazioni europee hanno reagito con modalità e conseguenze diverse, secondo la loro stabilità politica e finanziaria, soprattutto bancaria. Ed è stata una fortuna per l’Italia essere sotto la protezione dell’Euro; altrimenti il default, con la Lira svalutata e “svalutabile” alla mercé della speculazione internazionale,  era cosa fatta. Occorre altresì rilevare che le scelte economiche sono sempre figlie di una strategia politica. Se prima del “divorzio Tesoro/ Banca d’Italia” il governo dell’economia era subordinato alla  crescita inflattiva, sovranista ,senza controlli esterni, da quel momento in poi il processo di integrazione europea, a fronte di una globalizzazione sempre più accentuata dell’economia e della finanza mondiale, segnò il nostro destino, verso un deficit di bilancio ed un progressivo indebitamento che il trattato di Maastricht poneva come limite strategico al 60% del PIL  e che l’Italia, per perseguire una progressiva riduzione aveva due scelte: la spending review  e/o l’incremento del PIL. Finora siamo riusciti, con un colpo al cerchio e uno alla botte,  perseguire la strategia del bottaio, come emerge dal grafico Rapporto debito/pil in Italia . E pur tuttavia nella tabella della comparazione dell’evoluzione del  reddito procapite dell’Italia rispetto agli altri paesi europei esso è sempre stato superiore fino al 2011; poi  la crisi economica mondiale  e la sua ripercussione sulla ricchezza nazionale è stata più forte in Italia che negli altri partner EU.  E vengo, caro Vittorio, ai 7 punti delle tavole sinottiche di tuoi amici esperti economici :

 

  • Gli italiani in povertà assoluta sono aumentati del 67%; quelli di povertà relativa del 20%.

Ebbene il fenomeno della povertà non si deve imputare all’Euro ma alla stratificazione squilibrata della ricchezza fra regioni affluenti (nord) e regioni del terzo mondo del Mezzogiorno. Ovvero si tratta di fare un profondo “mea culpa” e chiedersi perché le linee di credito UE verso il Mezzogiorno realizzino, più che nuove opere, residui passivi, ovvero risorse disponibili e non impiegate. Tutto ciò si evince dalla lettura del grafico: Incidenza della povertù assoluta in Italia per aree geografiche.

                       

2,3) Il Pil pro capite, seppure con qualche oscillazione negativa nella crisi del 2008 è rimasto costante.   Tuttavia  con una divaricazione negativa  rispetto a quello tedesco di almeno 30 punti .

“La Germania, con il suo modello di sviluppo, è qualcosa di irripetibile. Non solo in Europa ma in tutto il Pianeta. Per avere un’idea, il surplus della Cina – che Donald Trump sta colpendo duramente con i dazi sull’acciaio e sull’alluminio – sarà pari, nel 2018, a circa 80 miliardi di dollari. Quello tedesco è invece stimato, per lo stesso anno, in circa 320 miliardi. Quattro volte tanto. Scaduta la tregua – il mese di maggio – sarà quindi dura per l’Europa negare questa evidenza e respingere le provocazioni del Presidente americano. L’Italia si muove sulla stessa scia, seppure con una velocità ben più modesta: appena del 20 per cento. Ma sono i suoi drammatici problemi sociali, con i loro riflessi di carattere politico, a richiedere una riflessione ben più seria sulle cose da fare”[2].

 

 

 

 

  • Il Reddito Pro Capite che nel 1996 era pari a +3 punti percentuali a quello medio dell’Eurozona a 12 membri, oggi è invece pari a – 15 punti con l’Eurozona a 28 membri. (vedi grafico di pag. 5).

Ai punti 5,6,7,8 o già risposto nelle pagine precedenti.

 

CONCLUSIONI

Caro Vittorio, mi rendo conto che il discorso sia stato lungo, articolato e complesso. Ma ho ritenuto mio dovere ribadire al Commissario Inquisitore dell’ Euro (€) che fa capo alla redazione di Libero  e rintuzzare punto per punto i suoi capi di accusa che si rivelano pretestuosi e inconsistenti. La morale si riconduce al discorso di un semplice confronto fra la situazione pre fallimentare dell’Italia e soprattutto della sua moneta , quando nel 1975  raggiunse il tasso di inflazione mai registrato prima: 25%.Oggi siamo neppure al 2%, allineati agli altri partner europei. Ma non riusciamo a recuperare il gap di un coacervo di  fattori di successo per competere con i partner più industrializzati  dell’Europa : produttività del sistema Italia, sia privato (ottimizzazione della quantità di prodotti e/o servizi  per unità di tempo e di ULA (Unità  lavorative  annue) che pubblico (ottimizzazione del rapporto costi/benefici sia della spesa corrente che di quella in conto capitale) ; rendere efficiente ed efficace la burocrazia dei tre poteri dello stato, legislativo, esecutivo e giudiziario, per il raggiungimento di una comunità statuale operosa e coesa degli  obiettivi del bilancio dello Stato a medio termine ovvero  l’incremento del Pil secondo tassi di crescita più che proporzionali  rispetto alle riduzioni delle spese improduttive dell’apparato dello Stato. Solo a queste condizioni  di sviluppo non condizionato dalla svalutazioni competitive della moneta potremo incremenentare il numero di occupati così da raggiungere almeno al media UE.

 

 

 

 

Perugia, 7 gennaio 2019

Rino Fruttini

 

 

 

 

 

[1] https://memmttoscana.wordpress.com/2013/09/15/come-si-finanziava-litalia-prima-del-divorzio-fra-tesoro-e-banca-ditalia-parte-5/

[2] Vi spiego analogie e differenze economiche fra Italia e Germania  di Gianfranco Polillo ; Grafici da Scenarieconomici.it

 

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