Vogliamo progettare nel rione di Porta Sant’Angelo un “enclave” di insediamenti residenziali e artigianali di qualità denominata : “Casa & Bottega” ?
L’idea nasce dalla considerazione di un centro storico perugino che dal primo dopoguerra (primi ‘900) si è visto gradualmente svilire, nelle sue identità e prerogative originali. La sua innata e atavica fisionomia la disegna con perizia Luigi Catanelli nel suo prezioso libro “ Usi e Costumi nel Territorio Perugino agli inizi del ‘900”. Ne emerge un profilo dei nostri avi, ai primi del ‘900 che vissero all’interno della cinta muraria medievale dei cinque rioni (Porta Sole, Porta Eburnea, Porta Santa Susanna, Porta Sant’Angelo , Porta San Pietro) con un assetto urbanistico nato e vissuto in funzione dell’organizzazione di vita associativa che si erano dati: “casa e bottega”. E questo ne è il remake, nel titolo del mio progetto che vado a sintetizzare.
Un passo del libro di Catanelli ci dice due cose. La prima : la popolazione della città ai primi del ‘900, compresa nei cinque rioni, era di 20.000 unità: Il rione di Porta San’Angelo, il più popoloso: era di 5.400 abitanti. La seconda: la città, con le porte daziarie era simile ad un’enclave in cui la maggior parte delle risorse per il fabbisogno alla sopravvivenza del popolo venivano dalla campagna di prossimità e dalle attività economiche artigianali cittadine. Le derrate alimentari quali cereali, olî e grani, cacao, caffè, zucchero sottoposte al dazio entravano nell’enclave e si vendevano nella piazza del Sopramuro (Piazza Matteotti), così pure le carni, frutta e verdura ed il pesce del Lago Trasimeno. Tutti i “prodotti finiti” dell’ agroalimentare erano frutto dell’attività artigianale svolta all’interno delle mura: fornai , norcini, pasticceri :dolci rituali, apicoltori … Anche l’abbigliamento derivava da forme autarchiche di produzione: la seta dai bachi e loro sapiente bachicoltura, collegata alle copiose foglie raccolte dai floridi gelsi della campagna ; la lana con i suoi filati, dalla tosatura delle pecore del contado. Anche la trasformazione del cotone era all’ordine del giorno. Racconta Catanelli: “Affinché le maestranze non rimanessero durante la stagione invernale inoperose e disoccupate, organizzò nei locali della Mercanzia in Corso Garibaldi la fabbricazione, con circa 25 telai manuali a spola volante e sotto la guida di Ida Volpi, delle stoffe di cotone, la cosidetta cotonina”. Anche la produzione di cuoio per le calzature e del pellame per accessori e vestiario: le conce delle pelli degli animali “extra moenia” erano attività locali ,sparse per tutte le cinque contrade cittadine: “ Intensa è la lavorazione delle pelli da concia. Lavoro ingrato per la condizione disagiante in cui viene eseguito. L’acqua, il freddo e la porcheria circondano i lavoranti delle pelli verdi. In Via XIV Settembre nella casa in fondo a Via della Conce c’è un’antica conceria gestita da Ugo Boveri. Alla fine della Piaggia Colombata un’altra è condotta dai fratelli Luigi e Federico Cominazzini. A San Galigano, Luigi Mattioli oltre ad essere proprietario dei bagni, lo è anche della locale conceria’. Infine lungo la Via Alessandro Pascoli, in un casamento che sarà demolito, a ridosso dell’orto del Carluccino, c’è quella di Giovanni Fagioli”. Dunque, il Catanelli registra almeno una conceria per le esigenze ogni rione.
Da questo scenario incastonato in quel periodo di storia perugina, brevemente tracciato , torniamo ai giorni nostri. Il problema più critico della società post industriale è il “mallevare “, in modo organico e finalizzato, nuovi posti di lavoro che diano un’occupazione attiva e continuativa nel tempo. Tutti i settori di impiego tradizionale, sia nell’industria che nei servizi, finanche nell’agricoltura, con l’evoluzione dell’informatica, della telematica e della robotica si sono riconvertiti tecnologicamente alla competizione globale con l’incremento della produttività. Il che significa sviluppare produzione e ricchezza, con la riduzione della mano d’opera per unità di tempo e di produzione. Né vale l’assunto, che alcuni economisti, soloni nella materia, hanno voluto divulgare, secondo il quale il cyber progresso andrà a vantaggio dello studio e sviluppo di sempre più sofisticati software e hardware, al servizio delle produzioni tradizionali e loro derivati. E ciò avrebbe portato più competenze e più occupazione. Il che non sembra che abbia un riscontro in stato di fatto, attuale e potenziale. Vale allora la pena riprendere uno schema di solide basi della conoscenza delle antiche produzioni tradizionali locali e sperimentare, in un ambiente rimasto intatto nelle sue strutture murarie e suoi anfratti culturali , un’organizzazione di giovanile esuberanza ed entusiasmo per le nuove start up della nuova manualità e creatività artigianale e conseguenti incubatori di new entry.
Non a caso ho introdotto la fase propositiva dell’idea, con neologismi di marketing. Poiché essa, se parte da una ricognizione quasi dietrologica del “come eravamo”, ad essa va fatto seguire un iter progettuale che tenga conto delle tecniche consolidate dello start up, per la pianificazione di risorse organizzative della nuova impresa artigiana, con le implicazioni residenziali dei suoi titolari e con le indispensabili acquisizioni di know how attraverso i corsi di formazione e le esperimentazioni proprie dell’incubatore di nuove iniziative imprenditoriali (new entry).
Il progetto, con il suo indispensabile “Studio di fattibilità” verte sull’implementazione graduale di residenze abitative e artigiane, in un’area particolarmente vocata all’artigianato come gli innumerevoli “loci” del rione di Porta Sant’Angelo. Lì ritroviamo nel tempo, insieme ai ricordi di Luigi Catanelli, figlio di questo borgo, una serie di mestieri da far rivivere come: artigiani della falegnameria, della rilegatura di libri, fornaciai, vetrai, arredamenti del legno a personalizzare ambienti e funzioni abitative, incisore, doratore,ombrellaio, decoratore, cuoiami, i corami (di Orlando Civi) [1]. Ed inoltre calzolai sarti, stampatori ,ciabattini, calderai (‘artigianato artistico del rame), mobilieri e tappezzieri, etc..
E’ solo un elenco parziale dal quale fare emergere alcune combinazioni attitudinali, di cultura e manualità, fra potenziali giovani artigiani e uno sbocco economico di attività imprenditoriale, opportunamente mallevata nei primi due anni di start up da finanziamenti di Sviluppo Italia o Sviluppumbria: dipende da chi verrà esaminato il progetto e dalla sua esaustività di convincimento della bontà dell’idea business.
A tale elenco va aggiunto quello delle planimetrie dei locali, tuttora sfitti o inutilizzati, parzialmente o totalmente, come potrebbe essere, secondo una valutazione esterna, parte dell’ex distretto militare, della ex Saffa, di alcuni conventi, dell’ex collegio Penna Ricci e di altre numerose civili abitazioni e negozi tuttora sfitti. Naturalmente un elenco e planimetrie certe si potrà avere solo dopo l’avallo alla fattibilità progettuale dall’ente finanziatore del progetto.
La strategia complessiva e l’obiettivo da conseguire si possono sintetizzare in un numero ed in un concetto. Il numero è quello di far emergere nell’arco di un quinquennio dall’inizio delle prime attività almeno 200 nuovi insediamenti fra residenze abitative e artigianali e attività indotte dall’agricoltura di prossimità. La strategia si richiama a quella istitutiva e organizzativa dei Kibbutz o se volete meglio a quella degli enclavi. Il termine e il concetto vanno letti e interpretati secondo l’ottica che serva a identificare un’area che abbia le potenzialità a contraddistinguersi per alcune eccellenze nel campo dell’artigianato. L’identificazione, forte e precisa sotto l’aspetto ambientale, socio demografico, paesaggistico e monumentale-storico che promana dal rione di Porta Sant’Angelo sarà un eccezionale biglietto da vista per un completo processo di marketing dei prodotti artigianali ad esso sotteso , fruendo dello strumento dell’e-commerce per gli acquisti via internet e quello dell’incoming turistico, legato agli eventi, alle occasioni sociali e delle festività che tradizionalmente rende effervescente tutta la città. Saranno dunque sinergie permanenti e /o ricorrenti a legare il borgo con il resto della città e viceversa.
Ma il borgo dovrà implementarsi di botteghe artigiane e residenze ad esse relative e trovare sbocchi alla propria vocazione di produzioni a ciclo completo, tali da giustificare un marchio indelebile di “artigianità perugina indiscussa”. Ad esempio. Se vogliamo sposare la causa dell’integrazione agricoltura/allevamento di prossimità, una piccola conceria , seppure con gli accorgimenti di un moderno processo antinquinamento, potrà nascere alla base del fosso del Bulagaio, e da lì la materia prima per gli artigiani della lavorazione del cuoio, e del pellame per borse e calzature potrà giungere rapidamente a destinazione , passando dalla porta del Cassero, evitando l’intasamento da traffico della via del Corso Garibaldi, simile alla suggestiva via del FilLungo di Lucca. L’enclave del Borgo sarà circoscritto al rione di Porta Sant’Angelo, contrassegnato dalla spada in campo rosso, che nei secoli ha ospitato molta plebe della città. E proprio per questo più vocato ad attività dell’artigianato di pregio. Nei tempi che furono il rione fu rifugio dei fuoriusciti, anche nobili. Infatti lungo la strada si incontra ancora qualche palazzotto con le finestre grandi, regolari, il portone, l’architrave o l’arco ricco di travertino. Malgrado le defezioni, l’abbandono e la profanazione di chiese e conventi, nel luogo rimangono attivi i monasteri di San Benedetto, di Santa Caterina, di Santa Lucia, di Sant’Agnese e i frati a Monteripido. Non sarà difficile fra tanti edifici rimasti parzialmente inutilizzati trovare la sede anche per un artigianato della lavorazione della seta, integrato con la bachicoltura alimentata dai bachi, divoratori di foglie di gelso “a far bozzoli”; foglie che proverranno dai nuovi impianti a valorizzare le terre incolte fra Montelaguardia, Montebagnolo, Monte Nero fino alla Pieve del Tezio, e attraverso le vie interne di Cenerente-San Marco-Ponte Doddi giungeranno fino al Cassero di Sant’Angelo. E sappiamo quanto raffinata fosse tale lavorazione presso i laboratori dei bachicultori perugini Rodolfo Pucci, Vittorio Cesarei, Antonio Mollaioli e Giulio Bellini. Nell’enclave così descritto già opera da tempo l Giuditta Brozzetti con il Museo-Laboratorio di tessitura a mano in Via Berardi.
Ma l’enclave di Porta Sant’Angelo si dovrà qualificare non solo per l’offerta di prodotti artigianali di alta qualità del borgo, che si andrà a svolgere lungo le sue vie e vicoli ma anche per l’organizzazione della sua viabilità, per lo smaltimento dei residui solidi urbani, per la comune partecipazione agli eventi ed alle occasioni sociali della sua comunità. Ci sarà anche un organigramma gerarchico-funzionale con componenti elettivi per il governo del borgo, che andranno a scandire tutte quelle necessità impellenti a far consolidare e prosperare la sua economia diffusa. E soprattutto, stante la religiosità dei membri della corporazione fin dai tempi di Braccio Fortebracci da Montone, tant’è che ogni tipo di artigiano ha il suo Santo Protettore, l’enclave si identificherà, per il suo indispensabile imprinting spirituale e religioso, nella parrocchia di Sant’Agostino e dei suoi amministratori della Congregazione Agostiniana.
Perugia, 26/03/2018
Rino Fruttini
[1] (Il corame, dal latino corium, è un cuoio lavorato e stampato a motivi decorativi usato prevalentemente sotto forma di pannelli destinati all’arredamento, nel rivestimento di libri, seggiole, cofani, astucci e vari oggetti. Viene chiamato anche cuoio cordovan.)