Da: Rino Fruttini [mailto:rino.fruttini@gmail.com]
Inviato: giovedì 7 dicembre 2017 09:12
A: ‘direzione@liberoquotidiano.it’
Oggetto: come si fa ad avere nostalgia per la lira e la politica di svalutazione competitiva e di inflazione che la caratterizzò?
Caro Vittorio,
anche oggi (leggi : 6 dicembre) , nonostante argomenti di eccezionale importanza, per l’evoluzione delle coscienze laiche e l’incipienza sulle problematiche del mondo cattolico convergenti sulla discussione alla Camera della legge sul biotestamento non hai tralasciato di accanirti sulla presunta iattura che l’avvento dell’Euro ha provocato nei destini della italica economia. Hai delegato il tuo vice , Franco Bechis di riprendere la questione dell’Italexit. Egli nel suo articolo: “ Ormai è ufficiale: l’euro ci ha fatto più male della crisi” riepiloga l’andamento del PIL, ovvero la ricchezza nazionale, dal 1996 e nota come da allora ad oggi il suo andamento negativo ci abbia relegato, nella graduatoria fra i paesi europei , dallo 11° al 28° ° posto . Bechis è incorso in uno dei tanti equivoci dei commentatori ed esperti di macroeconomia, con pregiudiziali su Euro e integrazione politico-economica dell’Europa. Si fa presto ad enfatizzare il PIL , come valore di sintesi, senza entrare nelle sue componenti , spesso valori che hanno contribuito non solo a fenomeni inflattivi del processo della ricchezza, ma soprattutto a drogare ed equivocare sulla percezione di una economia reale in evoluzione. Se consideriamo le spese dello Stato nel periodo anteriore alla conversione della lira in euro, a comporre il PIL, sia in conto investimenti (incentivi a fondo perduto e mutui per le leggi di riconversione industriale,della Imprenditorialità giovanile, tanto per citarne alcune ) e in conto gestione ordinaria per il funzionamento della macchina pubblica , di cui quelle per il personale erano (e sono ) le più cospicue, emerge una singolare correlazione fra incremento dell’indebitamento dello Stato e quello del PIL. Ed entrambi contribuiscono alla composizione del rapporto PIL/Indebitamento dello Stato , in quella famosa percentuale propinata all’opinione pubblica a supporto di risultati trimestrali dell’economia nazionale. Ebbene, nel periodo ante Euro che Bechis prende in esame, le spese dello Stato si incrementarono più che proporzionalmente rispetto al periodo post Euro quando il fiscal compact ci vietava certe operazioni di moke up di bilancio.
La sostanza di quanto vado dicendo è semplicemente questa: prima di entrare nella moneta unica la triade: Governo, Ministero dell’Economia, Banca d’Italia era padrona di governare l’economia, avendo le leve finanziarie della spesa pubblica e del prelievo fiscale, tutte protese verso lo sviluppo . Solo che venne commesso un errore di stima nel ritorno di valore aggiunto che sarebbe derivato dalla spesa per investimenti in termini di reddito, consumi, esportazioni . Ed allora , a fronte di incremento di Pil in spesa pubblica ed analogo indebitamento in obbligazioni e monete forti, negli anni seguenti non vi fu quello sviluppo di economia reale che la triade si aspettava da tali interventi. Infatti , buona parte degli investimenti in conto capitale furono destinati dai fruitori a scopi di patrimonializzazione in bilancio e non ad innescare un processo di trasformazione industriale. Il fenomeno diviene eclatante ancora oggi quando gli scoop dei mass media evidenziano il fenomeno delle “cattedrali nel deserto” : interi capannoni abbandonati per l’incapacità imprenditoriale ad uno start up adeguato all’investimento realizzato, in buona parte con il fondo di perduto dello Stato; interi complessi edilizi , destinati a ospedali o carceri o scuole, o centri sportivi abbandonati prima ancora di avere ricevuto le autorizzazioni all’inizio di attività; branche di autostrade rimaste incompiute ; ed altro ancora: tutti fenomeni dovuti all’incapacità di enti locali figli del decentramento amministrativo, in balia di spinte di localismo demagogico, di saper traghettare la realizzazione progettuale dall’esercizio di costruzione a quello della gestione , per l’avviamento verso l’esercizio a regime. Ed in conclusione nella fase della spesa e degli investimenti in lire, che Bechis decanta come l’età dell’oro, non erano ancora venuti al pettine le diseconomie del loro mancato ritorno economico, mentre l’indebitamento sul PIL era giunto dal 60% del 1980 al 121% del 1996. Con l’adesione all’Euro la musica cambiò , tanto più che l’esposizione verso la finanza internazionale era divenuta insostenibile. L’euro fu dunque la nostra ancora di salvezza. Per la verità negli ultimi anni il debito si è incrementato , ma secondo un trend di molto inferiore rispetto agli anni precedenti.
Ora di fronte ad una ricognizione obiettiva dei fatti di economia del recente passato, come si fa ad avere nostalgia per la lira e la politica di svalutazione competitiva e di inflazione che la caratterizzò?
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RINO FRUTTINI