Quel vulcano di Vittorio di fronte al “pisello” dello zio Pansa !

Da: Rino Fruttini [mailto:rino.fruttini@gmail.com]
Inviato: sabato 17 settembre 2016 08:55
A: ‘Direzione Libero’
Oggetto: Quel vulcano di Vittorio di fronte al “pisello” dello zio Pansa !

Caro Vittorio,

in poche settimane hai fagocitato un’eruzione di idee, provocato un set di iniziative editoriali, sollevato problemi esistenziali che un solo giornale e con una sola redazione  non so quanto riesca a starti dietro. Oggi che te ne esci con una sviolinata sul “pisello” dello zio Pansa, nel contesto recensivo del suo libro in cui dimostri una “certa maestria” nello scrivere; pari se non superiore al toccante e profondo ’articolo sulla tua amicizia ed ammirazione per Oriana Fallaci. Allora a questo proposito ti allego un file, estratto dalla bozza del mio ultimo libro ancora in editing, dal titolo “Quasi come Forrest Gump” nel quale riporto un episodio dell’intervista della  Fallaci a Orson Welles quando girava Perugia alcun esterni del suo film su Otello.  L’attore regista  sposò Paola Mori, una mia cugina pronipote del Burchia (hai letto il mio libro?).

Ma prima ancora avevi scatenato tutto quel casino referendario sulla Brexit e , per tutta risposta dei poteri forti alle tue lettere presidenziali ,  sei stato omaggiato (giornalisticamente parlando)  da Mattarella e Renzi. Questa si che è democrazia : remain  UE/€ contro Italexit.

Più leggo articoli dei tuoi collaboratori su tale questione, e più resto convinto della mia idea. Non per punto preso. Ma semplicemente perché non siete tecnicamente convincenti. Vi manca quel quid di cognizione di politica economica e dimestichezza in modelli econometri previsionali che quanto meno potreste sintetizzare per i lettori di un giornale quotidiano, non specializzato su tali temi.

Ma continuo a leggerti con molta simpatia.

Tuo aff.mo

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RINO FRUTTINI

Allegato:

Paragrafo estratto dal libro : “Quasi come Forrest Gump”

 

Nel 1973 nacque Umbria Jazz per iniziativa di Carlo Pagnotta

 

Carlo Pagnotta è del 1933. Ha dieci anni più di me, ed è da sempre un personaggio “esterofilo con il donca”, un modo di dire, per significarne un perugino di  rango, ma avulso da ancoraggi di compulsività provinciale. Nel suo inglese, ormai la seconda lingua madre, reso fluente dalle frequenti esigenze professionali internazionali di Direttore artistico di Umbria Jazz, si avverte appena la flessione perugina di un “esse” sibilante  e dialettale che a volte  ci identifica con i vicini aretini della Toscana.

 

Carlo Pagnotta ritratto in costume medievale, in una sintesi “immaginifica” fra la Perugia del condottiero Braccio Fortebracci e quella del Jazzman Chet Baker.

 

Eravamo studenti di università, quando insieme a Franco  Ivan Nucciarelli e ad altri giovani  ci invitò ad una riunione di jazzofili in una sede di Via dei Priori, se ricordo bene. Erano gli inizi “sborracciati” di un itinerario con step costanti e metodici che portarono Carlo Pagnotta a realizzare il festival che tutti conosciamo ed apprezziamo.

Carlo Pagnotta è, sotto certi aspetti, data la sua permanenza nel settore delle attività di terziario, prima con il negozio di abbigliamento “Sir Charles” in Via Mazzini e poi con la new entry nel terziario avanzato del festival, figlio d’arte. Suo padre, Furio e suo zio Menotti, titolari fino al 1967 del rinomato “Ristorante Trasimeno”, in Corso Vannucci a Perugia, fondato nel 1943 erano famosi per la competenza nella preparazione di primi piatti, secondo ricette estrapolate dalla tradizionale  gamma delle paste farcite e guarnite e dei secondi, ricchi di capi di selvaggina, lepri, starne, fagiani, beccacce, cotti in agrodolce con la sapienza del cuoco Giuseppe.  Al “Trasimeno” si mangiava veramente bene, secondo i canoni di una cucina umbra che, ancor prima di essere casalinga e genuina, aveva il pregio della ricercatezza fra le specialità della gourmandise che oggi contraddistinguono la slow food, dal fast food di cui il centro perugino è ormai il  terminale di un target di giovani clienti del “mordi e fuggi”.

Anche il regista e attore americano Orson Welles, nella foto,  seduto  ad un tavolo del Trasimeno insieme alla giornalista Oriana Fallaci,  ne confermò autorevolmente la notorietà ed affidabilità. Si può notare la posizione molto corretta della signora, mentre sta gustando un piatto di pasta e quella dell’attore, meno ortodossa, nel mentre mostra di non gradire la foto, presa quasi a tradimento. In quel periodo furono scelti come set per alcune scene del film Otello, la Rocca Paolina e Palazzo dei Priori.  Otello (The Tragedy of Othello: The Moor of Venice) , un film del 1952 diretto da Orson Welles e tratto dall’omonimo dramma di William Shakespeare, vinse il Grand Prix du Festival  al 5º Festival di Cannes, come miglior film (ex aequo con Due soldi di speranza di R. Castellani). Le riprese durarono oltre tre anni a causa delle difficoltà economiche di Welles, che usò il compenso avuto ne Il terzo uomo per completare finalmente il film. Welles viaggiava per le riprese (quando poteva ) oltre che a Perugia, in Marocco, a Roma, Viterbo, Venezia. Con questo film l’attore-regista ottenne anche diversi riconoscimenti tecnici, talché  il critico cinematografico

Orson Welles , noto regista ed attore americano al ristorante Trasimeno, nel 1952 in compagnia di Oriana Fallaci per un’intervisita che da tempo le aveva promesso.

  André Bazin si stupì per “…la sua struttura stilistica [The Tragedy of Othello: The Moor of Venice] , fatta di piani veloci, campi e controcampi così lontani dai piani lunghi tipicamente wellesiani: il film è infatti una specie di summa teorica del montaggio, che in nulla cede al miglior Eisenstein. Comunque sia, la forza espressiva dell’opera ne esce ingigantita. Quel funerale che apre e chiude il film, teoria di figure in controluce e in campo lungo che accompagnano le spoglie di Otello e Desdemona al canto del «Dies Irae». Quel giro di scale, chiostri, cortili, di sapore fortemente espressionista. Quelle inquadrature anticonvenzionali, quei primi piani incombenti Un fascino visionario e quasi ipnotico”.

In quel tempo Welles era sposato con Paola Mori, una mia cugina di secondo grado, avendo comuni gli antenati, figli di Bartolomeo Fruttini, il mio bisnonno,  come ho narrato  nel mio libro: “La Saga del Burchia”.

 A Perugia probabilmente Welles s’incontrò anche con Sandro Penna[1], nella rimembranza degli incontri romani dei tardi anni Quaranta, quotidiani e spontanei nei luoghi per eccellenza rinomati, cioè nei bar del centro storico. Un luogo privilegiato era il “Caffè Greco” di via Condotti dove era facile vedere, seduti con Sandro Penna e Renzo Vespignani, Mario Soldati, Vitaliano Brancati, Orfeo Tamburi e Orson Welles, come è testimoniato da una storica foto di gruppo esposta, ancora oggi, nella Sala omnibus del “Caffè Greco”.

             

Saletta del Caffè Greco, Roma 1945 (foto di Arthur Penn). Da destra si riconoscono: Brancati, Flaiano, Mafai, Orson Welles, Lea Padovani, Libero De Libero, Sandro Penna (in piedi), Vespignani (al centro),Fazzini (in piedi), Levi, Palazzeschi.

                  

 

Il collegamento logico e della memoria: Carlo Pagnotta, Ristorante Trasimeno, Orson Welles, fino al poeta perugino Sandro Penna, ci riporta poi dalla cultura della poesia e della narrazione  cinematografica, ad un’altra  manifestazione culturale, ma di massa , come Umbria jazz dove una foto di oltre vent’anni dopo quella del Ristorante Trasimeno, ci mostra una Perugia , nel contesto della sua piazza Grande , la piazza IV Novembre , letteralmente invasa da giovani altrimenti detti “Figli dei fiori”, “saccopelisti”, “punkkabestia”, “sessantottini”   in attesa dell’inizio del concerto del 1974

 

Migliaia di giovani in “stand by” prima dell’inizio del concerto del 1974 in Piazza IV Novembre

                           

 

“Il jazz gratuito già nel secondo anno decollò e conquistò il popolo alternativo: fu subito successo fuori misura e sacchi a pelo. Il budget di quell’anno, solo trentacinque milioni, bastò a mettere insieme un cartellone stellare diviso in cinque serate. A far da grandi attrazioni il nuovo, strepitoso quintetto di Charles Mingus, con le rivelazioni George Adams e Don Pullen, e Keith Jarrett in solo piano, praticamente nello stesso tour che sei mesi dopo avrebbe registrato il celebre Köln concert, rimasto una sorta di pietra miliare del solismo pianistico. Ancora, a mobilitare la folla, c’erano due campioni del nuovo jazz d’avanguardia: i sassofonisti Sam Rivers e Anthony Braxton. A rappresentare il jazz più strutturato, il sax baritono di Gerry Mulligan, che duettò anche con la preziosa pianista Mariam McPartland, la strepitosa orchestra di Gil Evans, ancora Thad Jones e Mel Lewis, il parkeriano Sonny Stitt, il pianista Joe Albany e la Perugia Big Band di Alfio Galigani e il quintetto di Mario Schiano a rappresentare gli antipodi del jazz nazionale”.

Così recita, per le celebrazione di quell’evento memorabile, il vademecum nel blog di Umbria Jazz.

 

[1] Sandro Penna (1906-1976), poeta perugino . “La poesia di Penna, estranea all’Ermetismo e alle poetiche del Novecento, è — pur nella sua limpidezza — enigmatica e quasi miracolosa, nel senso che è assai difficile coglierne il retroterra letterario. Non è ancor chiaro, infatti, dove essa affondi le proprie radici. Il poeta Bigonciari, non a caso, la paragonò a un «fiore dal gambo invisibile».( A cura della Redazione Virtuale di ItaliaLibri)