Gustavo Zagrebelsky e Herbert Marcuse

Da: Rino Fruttini [mailto:rino.fruttini@gmail.com]
Inviato: sabato 14 gennaio 2017 11:36
A: ‘direzione@liberoquotidiano.it’
Oggetto: Gustavo Zagrebelsky e Herbert Marcuse

 

Caro Vittorio,

stamane mi sei piaciuto con il Tuo articolo su Zagrebelsky. Un soggetto  con un tale cognome non poteva che essere complesso, complicato, problematico, amante del paradosso: nomen omen.

Per la verità già qualche anno fa lo avevo rilevato in tale dimensione culturale. A dimostrazione di ciò ti riporto di seguito uno stralcio del mio nuovo libro autobiografico “Quasi come Forrest Gump” che uscirà nei prox. gg. con i tipi del Gruppo Albatros.

Il giovane, potenzialmente fanatico dei metodi extraparlamentari di destra (se volete: neofascisti) o di sinistra (se volete: neo comunisti) è per sua natura ingenuo, facilmente permeabile a nuove esperienze. I sette processi per la strage di Piazza Fontana, e quelli per gli attentati di Gioia Tauro, Peteano (Gorizia), Questura di Milano, Piazza della Loggia a Brescia, dell’Italicus (treno Roma-Brennero), del ferimento dello studente Soriano Ceccanti nell’aprile del 1969 durante la contestazione agli “opulenti borghesi” alla Bussola di Bernardini a Viareggio la notte di Capodanno del 1968 ed infine l’assalto alla sede dell’MSI di Padova, opera di un gruppo delle B.R. dimostrano come il movimento studentesco del ’68 venne strumentalizzato da infiltrazioni di anarchici, servizi segreti, professionistici del revanscismo rivoluzionario.

Emblematico fu l’episodio del ferimento del Ceccanti, si disse per opera di un’arma della polizia, senza peraltro alcuna prova processuale; mise in moto nella sinistra social comunista, fra cui il sindaco di Milano Aldo Aniasi ed in parte anche democristiana, un “passaparola” sull’esigenza di una legge sul disarmo della polizia, durante le manifestazioni studentesche e gli scioperi. Ebbene coloro che avrebbero avuto il vantaggio di essere garantiti nella loro incolumità e franchigia ad ogni prepotenza, ed in primo luogo “Potere Operaio”, quello che organizzò la manifestazione della Bussola, emisero un comunicato: “… consideriamo opportunista e controrivoluzionaria la richiesta di disarmo della polizia, e quella di affidare ai sindaci le funzioni di tutela dell’ordine pubblico. Lo Stato borghese userà ancora, almeno sul tempo breve, la violenza armata per reprimere i movimenti di massa. E l’apparente disarmo della polizia… richiederà come contropartita necessaria il disarmo politico e ideologico delle masse, che le proposte sbagliate di oggi servono a preparare, e un controllo molto più rigido sui loro movimenti a livello economico e sociale, ottenuto magari attraverso la diretta collaborazione e il definitivo inserimento delle cosiddette organizzazioni operaie nelle istituzioni dello Stato borghese. A questa prospettiva di disarmo” – proseguiva il documento di “Potere Operaio” – “le avanguardie rivoluzionarie operaie e di base socialista devono opporsi oggi unite alle masse, evitando la sconfitta delle lotte operaie e studentesche degli ultimi anni …”. Potere Operaio non sembrava quindi affatto disposto a una pace disarmata con lo Stato, e scriveva che l’obiettivo era “contribuire alla formazione di nuovi organismi politici di massa e rivoluzionari”. Tale posizione dottrinaria si rifà ad un sofisma di Herbert Marcuse[1] che accanto a Marx e Mao era un “mantra”  del movimento studentesco. Basta una sua frase per comprenderne l’implicazione rivoluzionaria, la subdola motivazione ad ogni sia pur marginale contestazione: “Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non libertà prevale nella civiltà industriale avanzata, segno di progresso tecnico”. Il pensatore tedesco, naturalizzato statunitense, sosteneva che la società industriale avanzata, reprime la libertà attraverso la tolleranza: la concessione della libertà di espressione è una forma di repressione, perché evita il possibile insorgere di una protesta o di una rivolta, e garantisce pertanto il mantenimento dell’ordine costituito.

Un ragionamento alla Marcuse lo ricordo, in una intervista a Maria Latella di Sky. Il giurista italiano, Gustavo Zagrebelsky, giudice costituzionale dal 1995 al 2004 e presidente della Corte costituzionale nel 2004, si dichiarava contrario alla riforma della elezione di un organo della P.A. che poteva decidere solo con la maggioranza di 2/3 dei votanti, osservando che in tal modo il rimanente 1/3, una minoranza, ne condizionava più facilmente  la linea politica che non il 50%, essendo più facile controllare 1/3 che 1/2. Ma con tale sibillina preposizione, sottovalutava, “dolosamente”, la democraticità di una votazione con la più ampia maggioranza degli aventi diritto! Uso il termine “dolosamente” non a caso. La proposta infatti proveniva dal governo Berlusconi, il nemico N.° 1 per il movimento “Lista Arancione” cui il magistrato apparteneva.

Ed allora rinviene prepotentemente la teoria Hegeliana della contrapposizione dialettica e della guerra, nel momento in cui il soggetto assume una sua identità, e la rende sintesi e risultato di una contrapposizione violenta contro un altro tipo di soggettività. Da qui a capire la pericolosità di una simile organizzazione paramilitare di estrema sinistra, con la strategia del suo indiscusso leader Adriano Sofri, il passo è breve. È infatti evidente che una polizia disarmata come il bobby inglese, avrebbe tolto ogni alibi di vittimismo ai dimostranti, violenti e provocatori, ribaltandone il rapporto di “causa/effetto” delle violenze, negli scontri con le forze dell’ordine. Invece una polizia armata va provocata e diviene strumento di alibi contro la reazione,  fino alla guerriglia ed al morto ammazzato.

Con la strage di Piazza Fontana si incardina un processo, nella “strategia della tensione”, che non è solo di ordine giuridico e istituzionale, ma soprattutto sociale, dal quale si traggono alcune conclusioni di un certo interesse. Gli anni di piombo  (anni ’60-’80), con la loro esasperante lunghezza di ben un trentennio furono alimentati dalla politica del “golpe carsico”, incardinato nella guerriglia urbana fra neofascisti e comunisti, destra e sinistra, entrambe extraparlamentari. Nelle pieghe di un attentato e l’altro, fra una strage e l’altra, rimase qualche brandello di trame di servizi segreti in servizio permanente effettivo. Si scoprirono decine di infiltrati in ambienti anarchici, provocatori di destra in organismi e associazioni di giovani sciovinisti e revanscisti di sinistra. In questa babele di stratificazioni di velleità sovversive, ma di reale potenziale delinquenziale, che nulla ha a che fare con la politica, l’intelligence dei nostri servizi segreti non fu all’altezza dei suoi compiti, ovvero il prevenire i numerosi attentati, nelle drammatiche cadenze di cui sopra, e consentire al Governo Costituzionale della Nazione di svolgere tranquillamente la propria attività, senza trovare alibi alla sua inefficienza, nel neutralizzare gli effetti destabilizzanti delle stragi”.

 

Infine, caro Vittorio, non penso che la causa del NO al referendum stia tutta nel monocameralismo disatteso. Sta invece nell’incapacità degli italiani di scegliere sulla base di una proposta, anziché di una non proposta. Per cui avremo ancora un  ventennio di politiche di centro sinistra e/o destra, con un perno di partito della Nazione  che si appresta a svolgere funzioni democratiche per i due forni.

Meglio questa soluzione che un’alternanza con Grillo e/o Salvini.

Un caro saluto

 

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RINO FRUTTINI

[1] Herbert Marcuse, nato a Berlino il 9 luglio 1898, e morto a Starnberg, Germania, il 29 luglio 1979, filosofo tedesco naturalizzato statunitense. “Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non libertà prevale nella civiltà industriale avanzata, segno di progresso tecnico”. Con questa frase significativa inizia la lucida analisi di Herbert Marcuse della società nella quale viviamo, in perenne bilico tra la pace e la guerra: la società industriale avanzata diventa più ricca, più grande e migliore mano a mano che aumenta il pericolo.